Il panico e la fatica del silenzio
Mi è venuto in mente di parlare del silenzio e mi è parso
strano non averlo fatto prima.
Sono andata quindi a rileggere dei vecchi articoli e ne ho
trovato uno in cui ne parlavo, esattamente a gennaio di due anni fa.
Forse gennaio è un momento in cui mi interrogo molto sul
silenzio.
Dopo le feste, le vacanze, gli addobbi, forse viene un po’
di tristezza e ci si ritrova avvolti da troppo silenzio?
Dopo le canzoni di Natale, le pubblicità di Natale, i
clacson del traffico per i regali di Natale, forse si desidera solo un po’ di
silenzio?
Per provare ad avvalorare la mia teoria sono andata a cercare
cosa scrivevo qui un anno fa. Ho trovato un articolo di metà gennaio sulla malinconia, che potrebbe essere collegato alla tristezza che prende dopo le
feste, ma che, in realtà, so che non lo è, perché a me la malinconia viene in
ogni momento e in quell’articolo parlavo di tutte le innumerevoli volte in cui
mi sono ritrovata a piangere nei posti e nelle situazioni più diverse (lista
che potrebbe espandersi ulteriormente, ma questo è un altro discorso).
Però, subito prima, esattamente un anno fa, ho trovato un articolo sull’attenzione o, meglio, sulla mia difficoltà a mantenerla.
E questa difficoltà, invece, mi sembra molto legata al
silenzio e a come mi sento in questo momento.
Da una parte, infatti, cerco il silenzio, come scrivevo la scorsa settimana. Lo cerco e combatto contro la mia tendenza a romperlo
continuamente. Anche se devo dire che, rileggendo l’articolo di due anni fa, ho
notato un netto miglioramento. Peggiorare era difficile. E stare chiusa in casa
per tanto tempo mi ha forse reso più consapevole della mia non attitudine al
silenzio (o, più spesso, ci ha pensato A.) Fatto sta che adesso, quando parlo
troppo, do fastidio anche a me stessa. A volte continuo comunque, ma almeno lo
noto.
Mi piacerebbe diventare una di quelle persone silenziose,
che osservano e riflettono, che restano avvolte dal mistero, ma credo di
dovermi arrendere al fatto che non sarò mai così. Sono così solo nei gruppi di
persone, ma odio i gruppi di persone e quindi non li frequento mai.
Mentre cerco il silenzio mi accorgo che, oltre a quello che
si può creare fuori, c’è anche un altro tipo di silenzio, ovvero quello che
viene da dentro. Ed è più difficile. E a quel silenzio lì serve l’attenzione.
Adesso, mentre scrivo, devo più volte vincere la tentazione
di fare altre cose. Tante altre cose, diverse. Controllare la mail (perché?
Cosa ci sarà mai di nuovo e di urgente nella mail?). Alzarmi e andare a leggere
qualche pagina di un libro. Alzarmi e spazzare quell’angolo del corridoio che è
sempre pieno di polvere. Controllare il telefono (ma questo meno, perché mi
sono allenata a vederlo come IL MALE, da evitare a ogni costo). Bere.
Riscaldare la tisana. Mettermi a guardare i libri sulla libreria.
Sono riuscita a evitarle tutte (tranne controllare la mail,
dove, come era prevedibile, non c’era nulla di nuovo. Allora ho aperto una mail
vecchia tanto per fare qualcosa).
Le altre cose le ho evitate. Però, riflettendoci, non so se
si possono considerare tutte allo stesso modo. Alcune, magari, non indicano una
mancanza di attenzione, ma sono, invece, utili. Solo che, mancandomi
l’attenzione, mi viene da considerarle tutte allo stesso modo.
Adesso ho bevuto. Ho pensato di mangiare un’arancia. Non mi
sembrano attività terribili per la mia attenzione.
Ho mangiato l’arancia che avevo pensato di mangiare, perché non
sapevo come andare avanti con la scrittura.
Appena mi trovo a fare qualcosa di un po’ più difficile,
appena non trovo le parole da scrivere, io vado subito a vedere altro. Apro un
articolo. Cerco qualcosa su internet. Clicco su delle icone. E quindi è sicuro
che quello che volevo scrivere non arriverà più.
Poi torno sulla pagina, e ho come la sensazione che il mio
cervello sia stato spazzato via, che la mia testa sia stata svuotata e io debba
ricominciare da capo. E mi sembra quindi che la mia testa resti sempre in superficie,
perché non ha mai il tempo di addentrarsi in profondità.
Un po’ come quando riempio il silenzio con qualsiasi parola,
solo per non sentirlo. E magari in quel silenzio trovavo qualcosa, o un’altra
persona ne diceva un’altra.
Oppure, nel silenzio, riesco a capire meglio dove voglio andare.
Forse è per questo che lo trovo collegato a gennaio e all’inizio dell’anno. Le cose
che ricominciano rischiano spesso di travolgermi con il loro ritmo. Ritmo che a
me non dispiace, in realtà, perché a me piacciono le cose uguali.
Ma a volte, nel ritmo, qualcosa stona. E se parlo troppo non
lo noto.
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