Non avere niente da dire (e dirlo lo stesso)
Mi sono seduta a scrivere e ho realizzato che non avevo
nulla da scrivere.
Ma sto scrivendo lo stesso. Non so se è una cosa buona. Non si
dovrebbe scrivere quando non si ha niente da scrivere, così come non si
dovrebbe parlare quando non si ha niente da dire.
Io parlo sempre quando non ho niente da dire. Parlo soprattutto
quando non ho niente da dire.
E quando parlo senza sapere cosa dire, parlo tanto. Perché,
quando non si è chiari, ci si dilunga.
Parlo quando non sopporto il silenzio. Parlo quando non
voglio ascoltare i miei pensieri. Parlo quando non voglio stare in silenzio e
non voglio ascoltare i miei pensieri. Parlo quando sono agitata. Parlo quando
so che sto facendo tardi e non dovrei assolutamente stare a chiacchierare, perché
pure che non guardo l’orologio, i minuti vanno avanti lo stesso. Parlo quando so che è tardi e si
dovrebbe andare a dormire. Parlo quando sono in macchina e so che dovrei
concentrarmi e guardare la strada, perché mi sto perdendo. Parlo quando sono in fila da qualche parte e
qualche sconosciuto inizia a parlarmi. Io rispondo. E se l’altro risponde, io
rispondo ancora, e intanto mi dico: “Ma cosa sto dicendo?” perché non sto
neanche pensando a quello che dico, sto dicendo e basta.
A volte temo che le mie parole perdano un po’ del loro
valore, perché ne dico troppe.
Penso che potrei amare un po’ di più il silenzio, perché alla
fine magari non è così spaventoso. Magari ha anche lui dei lati carini. Poi però
appena mi ci trovo mi ricordo che non lo sopporto, e perché.
Il silenzio è troppo vago. Nel silenzio ci sono troppe cose.
Se si è in due a stare in silenzio, inizio a chiedermi: cosa c’è dietro a
questo silenzio? Che tipo di silenzio è ? É un
silenzio tranquillo o è un silenzio che se si protrae un altro po’ diventa una voragine di
silenzio che ci inghiotte per sempre? Perché c’è anche questo da dire del
silenzio, che quando resta per troppo tempo è difficile da far andare via.
Ci sono tantissimi tipi di silenzi esistenti, ed è difficile
capirli bene tutti.
I silenzi assensi, i silenzi complici, i silenzi che
nascondono delle cose che non si dicono,
i silenzi indispettiti, i silenzi assonnati. I silenzi in ascensore (per
fortuna che l’ascensore dura poco), i silenzi quando si è in due in macchina e
i silenzi quando si è in tre in macchina.
Sono, ovviamente, due categorie
diverse di silenzi, e il secondo è più gestibile del primo. Si pensa sempre
che, se non si parla, dipende anche da altre due persone, e che, magari, uno di
loro potrebbe anche iniziare a parlare. Esiste poi una sottocategoria dei
silenzi in macchina in tre persone, ovvero se si sta davanti o dietro. È meglio
stare dietro, almeno si ha una scusa in più per non parlare, sono gli altri che
stanno insieme davanti.
Questi sono ovviamente silenzi in cui si sta con gli altri. Ma
io non sopporto neanche i silenzi di quando sto da sola. E infatti mi metto a parlare
da sola. Elenco cose da fare ad alta voce e poi le commento, così sembra un
dialogo.
Così, invece di interrogarmi su questi tipi di silenzi,
decido di romperli tutti e basta, senza fare distinzioni.
Solo che non va sempre bene.
Per esempio, ad A il silenzio piace. Gli piace. Gli piace
quando si alza la mattina. Io quando mi alzo la mattina parlo. Parlo perché sennò
mi viene il panico pensando alle cose che devo fare. A invece vuole stare in
silenzio. Magari ascoltare la musica. Ma la musica in sottofondo per me non
conta come suono, è sempre silenzio. L’unica cosa che riempie il silenzio
veramente sono le parole.
Oppure, A vuole stare in silenzio quando si arrabbia, o
quando litighiamo. Io invece vorrei parlare per ore. Non per forza dialogare. No.
Solo parlare. Posso anche fare dei lunghi monologhi. Poi però lui dice : “Puoi
stare in silenzio per favore?” e io non so che fare, perché non è che funziona
se bisbiglio o parlo nella testa.
Adesso che sono qui a scrivere, che sembra un po’ come parlare,ma
neanche tanto, è tornato A.
Mi metto a parlare. Parlo mentre si leva la giacca, mentre
si lava le mani, mentre sposto cose per casa pensando di fare ordine, mentre
lui cucina o mentre io cucino. Parlo. Faccio una piccola pausa per riprendere
fiato e finire di scrivere. Parlo di nuovo.
Il punto è che alla fine trovo sempre qualcosa da dire, pur di parlare.
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