Cose che fanno bene al panico - parte seconda



Se alla fine della giornata qualcuno mi chiede come mi sento, io rispondo elencando le cose che ho fatto. Non lo dico proprio, come mi sento.

Penso che siano le cose che ho fatto a misurare come sto.

Non è che lo penso davvero, ma è troppo complicato notare come sto, mentre le cose che ho fatto sono facili da notare, vanno solo contate. Si può anche fare una lista e a me piacciono le liste.

Un po’ però lo penso davvero, perché non riesco a separare come sto da quello che faccio.

In primavera, durante la quarantena, seguivo i video di yoga di una tipa chiamata Briohny. A volte li guardo ancora adesso, ma almeno faccio yoga nel giardino di casa, guardando le montagne, ed è bellissimo. Il retro del tappetino si riempie di foglie bagnate, l’audio del mio pc non si sente bene all’aria aperta, il terreno ha un po’ di bozzi ed è in discesa, cosa che non ho capito se renda le posizioni più facili o più difficili, ma sospetto la seconda, quando ho finito di fare yoga i miei piedi sono irrimediabilmente congelati e devo scongelarli sotto la doccia. Però è bellissimo.

Alla fine della lezione c’è la parte in cui si sta sdraiati (shavasana), che Briohny dice essere una delle posizioni fondamentali dello yoga, e sarà vero, ma a me fa ridere, perché fondamentalmente consiste nello stare sdraiati e basta. In quel momento Briohny dice anche che invece di essere degli human being ci ritroviamo sempre ad essere degli human doing tutto il giorno. Quindi, durante shavasana, dovremmo diventare di nuovo human being. Io, sdraiata sul tappetino, annuisco con approvazione. Poi però mi urto di tutto quel tempo speso lì sdraiata sul tappetino (circa 3 minuti), mi alzo, spengo il pc e faccio altro.

C’è un click che scatta nel mio cervello quando non sto facendo qualcosa. Non so se sia una grande avversione alla noia. Oppure un terrore di ritrovarmi a dialogare con la mia testa. Quindi io, prima di riuscire a capirlo, faccio qualcosa. Faccio. Faccio. Mi trovo quindi inglobata in troppe cose e non riesco a pensare a come sto. Quindi arriva il panico. Quando il panico arriva devo per forza considerare come sto. Non ci sono altre opzioni. Io, in realtà, provo a continuare a fare, invece di pensare al panico. Ma non funziona. Il panico pretende la mia completa attenzione. Pretende che io stia con lui e faccia cose che lo aiutano.

Qualche settimana fa avevo parlato delle cose che fanno bene al panico. Era una lista incompleta. In questi giorni ci ho ripensato e ho creato una nuova lista incompleta su cosa fa bene al panico. Le cose che fanno bene al panico sono cose che non pretendono che il panico non ci sia più da un momento all’altro, né lo pressano per fare fare fare quando lui non ce la fa.

Aiuta il panico camminare in montagna perché cammina e si stanca e perché se cammina non può fare molto altro. Può pensare ma non troppo, perché in montagna per terra ci sono i sassi, il fango, le erbacce e quindi deve notare dove mette i piedi. E perché guarda gli alberi intorno a sé che sono grandi e i prati e le montagne, e si sente una cosa piccola e gestibile.

Suonerà come una grande ovvietà ma al mio panico fa bene leggere. Uno dei rari momenti in cui sto ferma è quando leggo. Fa bene al panico vedere vecchi film, film in bianco e nero con realtà costruite ma verissime nel loro essere costruite. Con delle espressioni lontane decenni che appaiono però vicinissime. Mondi che racchiudono per un po’ il mio panico e lo cullano.  

Aiuta il panico se mi dico che le cose posso anche farle male.

Aiuta il panico parlare con gli altri, anche senza parlare di lui, del panico, ma parlando del cielo, del cibo, di cosa si è fatto, di cosa si è letto, della noia, della stanchezza. Aiuta il panico ascoltare quello che dicono gli altri sul cielo, sul cibo, sulla noia, sulla stanchezza, su cosa si è fatto, su cosa si è letto.

Altre volte aiuta il panico isolarsi per un po’, se sente che non riesce a parlare e non riesce ad ascoltare.

Aiuta il panico se mi dico che lui proviene da qualche parte. A volte riesco a capire da dove arriva, altre volte non tanto bene. Aiuta il panico se lui diventa qualcosa che arriva per un motivo e non il segno che io non vado bene.

Aiuta il panico quando chi si trova lì vicino a lui dice che gli dispiace, perché capisce che dispiace anche a me.

Anche la cioccolata fa bene al panico. Perché è buona.

Anche il tè, perché è caldo e sta fermo tra le mani.

 

-           

 

Commenti

Post più popolari