Il panico e le liste
Il panico e le liste sono grandi amici. Si influenzano a
vicenda. Non so in che misura sia il panico che crea le liste e in che misura
siano le liste a far crescere il panico.
A volte ritrovo diari e quaderni del liceo con liste
improbabili in cui non solo c’erano scritte le cose da fare, ma anche quando
farle. E non solo c’era scritto quando farle in modo generico, ma con una precisione
di minuti. E non era solo per le cose obbligatorie da fare, ma anche per quelle
che volevo fare.
Una tipica lista poteva essere così: 13.45-14.15: pranzo
studiando letteratura italiana; 14.15-15.00: studiare storia, 15.00-16.00:
greco; 16.00-16.30: chimica; 16.30-17.30: studiare la scena di teatro; 17.30-17.45:
merenda leggendo un libro; 17.45-18.30: finire letteratura; 18.30-19.00: leggere
un libro per teatro; 19.00-19.30: allenamento; 19.30-20.00: lettura a piacere.
Mi pare evidente come il panico e una lista del genere
possano andare molto d’accordo.
È chiaro che nella mia testa dovevo praticamente saltare da
un’attività a quella dopo, perché i tempi di inizio di una cosa e di fine di
quella prima coincidono. È chiaro che non c’era tempo per interessarsi appena
un po’ di più al libro che stavo leggendo e decidere di restare a leggerlo per un
altro po’. È anche chiaro che se mi ci voleva più di un’ora per decifrare greco
(ipotesi molto probabile) mi trovavo in difficoltà con la lista, e dovevo in
fretta stilare una lista alternativa, facendo slittare tutti gli orari e
capendo cosa, in caso, sacrificare. Se poi una mia amica decideva di chiamarmi
al telefono era la fine.
Quindi questo problema spesso lo risolvevo non rispondendo,
facendo dire che non c’ero, o rispondendo solo da una certa ora in poi, quando
ormai molte cose erano state fatte e potevo tirare un sospiro di sollievo.
Ero sopravvissuta al pomeriggio. Ero sopravvissuta a tutti
gli impegni che avevo creato. Ero sopravvissuta alla lista.
Negli anni ho a poco a poco modificato le liste, rendendole
un po’ più elastiche. Non scrivo più gli orari. A volte non scrivo tutte le
cose.
Però a volte cado ancora nell’allettante trappola delle
liste. Perché le liste sono semplicissime da fare e danno molta soddisfazione. Si
vedono tutte le varie cose scritte una dopo l’altra, e danno molta sicurezza.
Poi però, quando si cercano di seguire, spesso arriva il
panico.
Quando ero al liceo e mi prefiggevo di seguire quelle liste
fittissime, a volte, quando il panico arrivava, tiravo un sospiro di sollievo. Era
venuto in soccorso alla lista. A quel punto, una volta arrivato il panico, potevo
anche non seguirla. Avevo una scusa, avevo il panico. Il panico era l’unica
forza grande abbastanza da far cadere la lista. Quando c’era il panico le liste
non contavano più.
Quando c’era il panico dovevo stare appresso a lui. Quando c’era
il panico potevo leggere un libro per tutto il tempo che volevo. Potevo vedere
un film in mezzo al pomeriggio. Potevo fare tantissime cose.
Certo sarebbe un passo avanti riuscire a fermarsi un attimo
prima, e riuscire a distruggere le liste senza l’aiuto del panico. O, almeno,
con un aiuto limitato.
Adesso, a volte semplicemente mi impedisco di scrivere troppe
liste, per scongiurare l’arrivo del panico. Poi però non combino nulla, e mi
viene il panico perché non ho fatto nulla. Allora faccio una lista, ma non la
seguo troppo. Ma allora mi viene il panico di non aver seguito la lista.
È un’arte difficile quella delle liste. È complicato trovare
un equilibrio.
E non è un’arte compresa appieno da tutti.
Ieri A si lamentava di non essere riuscito a studiare per
niente la mattina, e che il pomeriggio da giorni non combina nulla. Io allora
gli ho proposto di unirsi al mio splendido piano che sarebbe partito dal giorno
dopo: un’ottima organizzazione per lavorare di più, studiare di più, ma anche
camminare di più, leggere di più. In pratica, per fare tutto di più. Forse per
riposarsi meno.
A non ha risposto subito. Poi mi ha timidamente confessato: “A
me le tue liste fanno paura.”
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