Le cose che fanno bene al panico



Parlo spesso di cosa scatena il panico. Meno spesso di cosa lo fa andare via.

O, meglio, piuttosto che andare via, restare accanto a me, seduto tranquillo. Non so se il panico può essere tranquillo, in effetti. Forse, se è tranquillo, non è più panico. Quindi, in effetti, forse va via. Ma per andare via, deve prima sedersi tranquillo. È un passaggio fondamentale.

Probabilmente non penso spesso a cosa faccia stare tranquillo il panico perché non ho grande fiducia nel fatto che possa stare tranquillo.

Quando arriva il panico, io penso che non ci sia niente da fare.

Invece non è vero.

La mia testa che è avvolta nel panico non vede altre soluzioni possibili, come dico qui. Ma le soluzioni ci sono.

Gli abbracci fanno stare bene il panico. Racconto qui della mia fatica nell’imparare ad abbracciare. Così come racconto che, per molto tempo, gli abbracci più frequenti avvenivano quando ero nel panico. Gli abbracci aiutano il panico anche adesso. Forse perché sono una cosa concreta e vicina, mentre il panico spinge la mia testa lontanissima e la fa perdere nei suoi meandri astratti. L’abbraccio ricorda al mio corpo che è anche un corpo da abbracciare.

Un altro punto importante è il respiro. Non nutro una grande fiducia verso il prestare grande attenzione al respiro, al respirare con calma e in modo profondo, anzi, spesso provo un certo fastidio. Forse è perché ho l’asma, non lo so. Probabilmente è perché fermarmi e prestare attenzione a una cosa noiosa come il respiro non mi riesce molto bene.

Se penso al panico e al respiro mi viene in mente una mattina di cinque anni fa, quasi sei, in cui ero entrata nel panico durante una lezione del master a Londra (varie volte sono andata nel panico durante delle lezioni del master, cosa che ha causato reazioni stranissime e in realtà quasi esilaranti da parte dei miei professori inglesi, ma questo credo meriti un racconto a parte).

La giovane professoressa di Musical Theatre che c’era quella mattina di gennaio era americana. Era vestita sempre benissimo e aveva un viso perfetto, dalla prima lezione la continuavo a guardare e a pensare che assomigliava a Bryce Dallas Howard e anche a Julie Andrews. A Julie Andrews non assomigliava, ma dato che insegnava musical theatre a me ingenuamente sembrava di sì. 

Lei si era seduta vicino a me, mi aveva detto di andare a prendere un tè alla caffetteria per tutto il tempo che volevo. Prima però mi aveva fatto vedere una cosa da fare con le dita: unire ogni dito con il pollice, a turno, uno ad uno, e ad ognuno associare un respiro. Anche se perplessa, lo avevo fatto. Avevo continuato anche mentre andavo alla caffetteria. Adesso, a volte, quando entro nel panico, mi trovo a unire le dita e a respirare. Non so se è l’assurdità della cosa a farla funzionare, ma spesso funziona.

Molte altre cose aiutano il panico. 

Aiuta il panico se non mi arrabbio con lui.

Se non mi arrabbio con me stessa perché ho il panico.

Se gli altri non si arrabbiano con lui e con me.

Aiuta il panico non accusarlo perché ha dei modi un po’ appariscenti e alquanto non amichevoli.

Non essere accusata dagli altri per i suoi modi un po' appariscenti e alquanto non amichevoli. 

Aiuta il panico vedere dei sorrisi che vanno oltre il mio panico e che, sotto al mio panico, vedono me.

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