Il panico del dopo


Da quando io e A siamo arrivati qui in montagna, a inizio giugno, la madre di A ha iniziato a dire varie frasi come  “si può fare questa passeggiata lunga solo dopo il 25 luglio” ,“mi riposerò dopo il 25 luglio, perché sennò mi sento in colpa a riposarmi prima” e “ora a questo non ci penso, ci penserò dopo il 25 luglio”. Il 25 luglio era la data del matrimonio.

E a me veniva un po’ di ansia a sentire sempre questo “dopo il 25 luglio”. Non perché volesse dire che mancava poco tempo al matrimonio, che non mi sentivo pronta, che non avevo ancora fatto nulla e cose simili. Cioè, forse anche per questo. Ma principalmente perché sapevo che, quando si carica di così tanta importanza un giorno, quando poi arriva il momento dopo e quel giorno è finito, a me viene il panico.

Non so bene come si chiami questo panico. Non è un panico facilmente identificabile e classificabile. Non è un panico con una definizione chiara e un unico comportamento lineare.

È un panico che mi ha fatto piangere senza sosta da sola, quando, domenica 26, stendevo i panni in giardino. Giardino che adesso era vuoto e che il giorno prima era pieno di persone (pieno per modo di dire, poi, perché, vista la situazione, mia cugina epidemiologa aveva ridotto gli invitati, come si legge qui). Quando era vuoto mi aveva fatto venire il panico al pensiero di quando sarebbe stata pieno, e adesso che era vuoto di nuovo mi faceva piangere pensando a quando era pieno.

È un panico che mi ha fatto piangere quando sono andati via i miei amici, e sono andati via tutti in momenti diversi, quindi ho avuto tanti pianti diversi. Mi ha fatto piangere quando sono andati via i miei zii e le mie cugine. Mi ha fatto piangere quando sono andati via i miei genitori. E, soprattutto, mi ha fatto piangere quando sono andati via mia sorella e il ragazzo, che sono andati via per ultimi.

A non ha molto capito questa faccenda del pianto e allora gli ho ricordato che io piango sempre.

È un panico che mi ha fatto vagare stordita per casa, i giorni dopo, mentre mi chiedevo: come dovrei comportarmi? Ho ritrovato quindi il mio panico che ama le liste precise e gli ordini da eseguire, come si può leggere qui.

Questo panico mi ha anche fatto dichiarare ad A: “Ora è finito tutto.” A mi ha guardato perplesso e un po’ preoccupato. Poi ha chiesto: “Cosa è finito?”

Il matrimonio. Pensare al matrimonio. Che poi è una cosa che io non ho amato particolarmente fare, perché c’erano il panico dell’organizzazione, il panico del distanziamento sociale, il panico dello stare con tante persone. Però era una cosa a cui pensare.

E ora non potevo più pensarci. Potevo solo pensare a come era andato. E piangere. Non perché non mi fosse piaciuto il matrimonio. Ma perché mi era piaciuto tanto. Non perché non fossi felice di aver invitato le persone che avevo invitato, ma perché volevo vederle ancora. E, soprattutto, non rischiare di non vederle mai più. Come se il mio panico mi volesse convincere che, se c’è tanto bello prima, poi questo bello non può restare anche per il dopo.

Credo che questo panico multiforme e difficile da definire possa chiamarsi il panico del dopo.

Ovviamente non è un panico declinabile solo per i matrimoni, ma per tante altre occasioni. Panico del dopo compleanno, panico del dopo Capodanno, panico del dopo primo giorno di scuola. Il panico di quando una cosa inizia, ovvero, il panico degli inizi. Secondo me il punto è questo: io non sono per niente brava con l’inizio e, quindi, lo trasformo in una fine. Con la fine sono più brava, perché si adatta bene al mio pianto perenne. E faccio diventare gli inizi delle fini.

Quindi l’inizio di scuola non è un inizio, ma la fine del primo giorno di scuola. Il primo giorno l’ho aspettato, è finito, ora tutto sembra finito. Solo che ci sono altre decine e decine e decine di giorni di scuola, che in genere contano anche più del  primo giorno perché il primo giorno non accade mai nulla di interessante e non si conosce mai nessuno, soprattutto se si è terribilmente timidi. Ma a me il primo giorno è sempre sembrato una fine.

Così come il matrimonio è la fine dei preparativi del matrimonio. È la fine della giornata in cui avviene il matrimonio. È la fine del pensare al giorno del matrimonio.

A, sempre più preoccupato dalle mie dichiarazioni, mi ha proposto di pensarlo come un inizio, invece che come una fine, solo che, appunto, io lo avevo già convertito in una fine, allenata da anni di panico per gli inizi.

Però, a poco a poco, ho cercato di trovare nuove interpretazioni. Un po’ perché A cominciava a guardarmi in modo molto sospettoso e ad incupirsi anche lui. Un po’ perché mi sentivo francamente alquanto ridicola a ricevere messaggi su messaggi di auguri e di “una felice vita insieme” mentre piangevo disperata perché tutto era finito. Quindi ho proprio iniziato da questi messaggi. Ho pensato: “Se dicono così, forse sarà vero. Forse in effetti il matrimonio è davvero un inizio che ho trasformato in una fine.”

Sono quindi partita da un’altra cosa semplice e un po’ materiale, ovvero i regali, e ho pensato: “Ci hanno fatto questi regali perché ci servono in futuro.” Ho guardato alcuni di questi regali: tazzine, teiere, tazze, lampade, pentole e ho pensato: andranno sistemate nella casa nuova.

Questo mi è piaciuto come inizio. È un inizio chiaro: sistemare le nuove tazzine e le lampade nella casa nuova. Il panico del dopo ha trovato un’utilità, ha trovato un nuovo obiettivo. 

Quando al panico del dopo si dà un obiettivo, non fa più tanta paura.


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