La tecnologia e io

 




Qualche volta capita che non mi funzioni qualcosa sul computer e io chieda aiuto ad A. In genere non sono cose terribili o difficilissime, si tratta più che altro di siti che si rifiutano di fare quello che dico io o cose simili.  

Lui mi chiede di allontanarmi mentre risolve il problema perché sostiene che, restando lì accanto, mando segnali negativi al pc. Io ho più volte protestato di fronte a questa affermazione, trovandola del tutto falsa e ridicola. Solo che si è spesso rivelata vera.

Ma ho sempre pensato che si trattasse di un problema di A. più che di uno del computer: era lui che si infastidiva con me vicina e non riusciva a concentrarsi.

Poi, però, una mia amica con la quale scrivo ha avuto difficoltà con il suo computer. Ogni volta che ci vedevamo, il suo pc si bloccava. “È vecchio, lo devo cambiare” ripeteva. Poi, però, un giorno ha ammesso: “Fino a qualche minuto fa, quando ero a casa mia, funzionava.” Da quel momento in poi ho iniziato a notare che, nei suoi racconti, il pc non le dava molti problemi quando era da sola. Riusciva a sistemare il testo, a mandarmelo, a correggerlo. E poi, quando ci trovavamo insieme, il pc non funzionava più.

Allora, per scherzare, le ho raccontato l’opinione di A. sul rapporto tra me e la tecnologia. Lei ha ribattuto: “Sì, è da un po’ di tempo che lo penso anche io”.

La scorsa settimana sono andata al ricevimento della mia tutor all’università per completare il piano di studi. Una volta lì, però, il suo pc non ha più funzionato. Quando ero entrata nella stanza lei lo stava usando senza problemi ma, appena me l’ha messo davanti per farmi accedere alla mia pagina riservata, il pc si è bloccato. A nulla sono serviti i ripetuti tentativi della tutor. Sono dovuta tornare a casa e compilarlo per conto mio. Per fortuna, non ha protestato.

Forse perché, di recente, il mio rapporto con la tecnologia è lievemente migliorato. Peggiorare, in effetti, era difficile. Mi sono arresa all’idea di non essere capace e questa idea mi rassicura molto. Partendo da queste basi riesco ad affrontare tutto con più calma. E, cosa straordinaria, a volte ho anche successo e il pc fa quello che voglio io, invece di impormi quello che vuole lui.

Anche se questo non scalfisce il mio odio nei confronti della tecnologia.

Non so quando sia iniziato quest’odio, in realtà. Ho provato a pensarci, ma è difficile trovare un punto di inizio.

Mi ricordo il giorno lontano in cui a casa è arrivato il primo computer. Era un sabato, forse, o magari mi confondo. Mia madre aveva portato me e mia sorella da qualche parte e, al nostro ritorno, nello studio di mio padre troneggiava uno schermo grigio e profondo che, quando si accendeva, mostrava un prato verdissimo e produceva una musichetta in sottofondo.

Su quel computer, di tanto in tanto, giocavo a qualche videogioco, oppure, qualche anno dopo, ricopiavo la storia che stavo scrivendo. Mi sedevo lì davanti per un po’ di tempo e mi piaceva. Non mi sembrava qualcosa da odiare, anzi.

Qualche anno dopo l’arrivo del computer sono entrata in possesso di un cellulare. Ero abbastanza piccola, facevo la prima media, ma, per cercare di placare il mio panico del distacco, mi era stato regalato per il mio compleanno. Non è che ci facessi poi molto, in realtà. Non avevo nessuno a cui scrivere o da chiamare. Mi limitavo a sentire mia madre per accertarmi che fosse sempre viva.

E anche quel cellulare, con questa sua funzione così essenziale e, allo stesso tempo, molto ridotta, mi sembrava una buona cosa. Un appoggio in un mondo grande e difficile.

Forse quello che è successo è che, a poco a poco, il mondo è diventato un po’ meno grande e complicato ai miei occhi e la tecnologia lo è diventata molto di più.

Ma le radici della mia diffidenza verso la tecnologia sono antiche e mi precedono. Per capirlo, basta osservare mia madre.

Vari anni fa, per utilizzare lo stereo del salotto, si è fatta dettare le istruzioni su un foglietto, che poi seguiva ogni volta scrupolosamente. Per far capire la tipologia di istruzioni, basti pensare che una di queste era “Premere il pulsante PLAY”, ed era corredata da un disegnino con il simbolo del pulsante. Ha fatto poi la stessa cosa con la televisione, ma qui è già più comprensibile, perché è una smart tv (alla quale lei si è opposta con tenacia, come dico qui). Per mia madre, la tecnologia è qualcosa di orribile e incomprensibile.

Per me non è così incomprensibile, ma forse è altrettanto orribile.

Io non riesco a considerare l’invenzione di nuovi cellulari, nuovi tablet e cose varie come progresso. Mi sembra solo uno sfruttamento e una produzione di roba inutile. Capisco l’idea del progresso tecnologico, ma non mi sembra che sia questo.

Io non lo capisco.

Poi, però, so di non essere del tutto coerente. Scrivo questo blog su un pc. Mentre scrivo, spesso ascolto musica su YouTube. Uso zoom e Telegram e WhatsApp e cerco continuamente cose su Google. E, soprattutto, vedo film e serie tv su svariati siti ai quali non ho intenzione di rinunciare.

Però, nonostante questo, una parte di me vorrebbe distruggerla, magari salvando giusto le sue componenti essenziali.

Forse è questo che percepiscono i computer quando io mi avvicino.


Photo by Florencia Viadana on Unsplash

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