Il senso pratico (e la sua assenza)
Quel giorno di tanti anni fa in cui, a New York, ho girato intorno allo stesso edificio per trovare il coraggio di entrare a una scuola di recitazione, una volta dentro sono rimasta colpita da quello che
raccontava una ragazza.
Non so il suo nome, non l’ho mai più vista e non sarei in grado
di riconoscerla se la incontrassi per strada, ammesso che ci fossero molte
possibilità di incontrare per strada una persona che abita dall’altra parte
dell’oceano. Ma mi ricordo che mi aveva colpito. Seguiva la lezione sdraiata su
una panca, un po’ più in alto di me, e leggeva un libro che aveva delle nuvole sulla
copertina.
Già questa cosa mi aveva stupita, perché io, nelle mie esperienze
di scuole di recitazione, mi vergognavo sempre a far vedere che, mentre gli
altri recitavano, io facevo altro, con il risultato che passavo molto tempo ad
annoiarmi. A volte c’erano scene interessanti, ma guardarle per quattro ore era
comunque stancante, soprattutto quelle che venivano provate da mesi e mesi. In alternativa,
passavo il tempo a trovare mille sotterfugi complicati per leggere senza farmi
vedere o per appuntare cose incomprensibili ai margini del quaderno di appunti.
Invece quella ragazza stava lì a leggere senza farsi tanti problemi,
anzi, era proprio sdraiata, occupando una porzione molto larga della panca.
Oltre a questo, mi aveva colpito quello che aveva detto all’inizio
della lezione. L’insegnante aveva chiesto come era andata la settimana e lei
aveva raccontato di come fosse diventata molto brava nei lavori manuali. Non solo
cose stupide, tipo fare piccole riparazioni, ma anche veri e propri lavoretti
di falegnameria. Fino a quel momento erano stati sempre delegati ai suoi ragazzi
ma, ora che non ne aveva uno, aveva deciso di farseli da sola.
Io ero rimasta affascinata da questo suo pragmatismo e da tutte
le cose che era in grado di fare. Non solo leggeva senza vergognarsi, aveva
anche senso pratico.
Forse l’avevo anche un po’ invidiata, ma non so. Più che
altro, l’avevo ammirata. Mi sembra difficile invidiare persone che hanno
qualcosa che a me è del tutto precluso.
Come il senso pratico. Non so se sia la giusta espressione, ma
non saprei come altro indicare quell’insieme di capacità, di abilità nel fare e
rifare gesti pratici, a volte complicati, e impararne di nuovi. Mettere chiodi,
capire dove vanno inserite le viti, smontare un oggetto. Ma anche aprire i
pacchi tagliando nei punti giusti, cucire una toppa, montare i mobili di Ikea.
Io ne ho montato solo uno in vita mia, un piccolo comodino, e neanche fino alla
fine.
Un ambito in cui sento molto la mia mancanza di senso pratico
è l’arrampicata.
Qualche mese fa, A. e io siamo andati a fare una lezione preparatoria
per andare a scalare all’aperto, sulla roccia. L’insegnante ci ha fatto iniziare
con un nodo specifico usato ad arrampicata, dando a entrambi un pezzo di corda per
esercitarsi. Dopo qualche minuto, ha visto quello di A. e ha sentenziato: “Già quando
hai iniziato a scalare ho visto che apprendevi molto velocemente, ma qui me ne
hai dato la conferma”. Poi è passata al
mio nodo. “Beh, ognuno ha i suoi tempi”, è tutto ciò che ha detto. Alla fine
della lezione A. sapeva fare i nodi. Tre mesi e decine di scalate dopo, li so
fare anche io.
La scalata è tutta piena di azioni pratiche. Non fanno parte
dello scalare vero e proprio, ma di tutto il suo contorno, come spostare la
corda senza farla arrotolare per terra, gestire i vari oggetti senza
disperderli o farli cadere di sotto. Io cerco di impararne qualcuno, ma spesso
accade che, per farne uno nuovo, mi dimentichi quello vecchio. È una corsa
contro la mia natura.
La mia natura apre i pacchi a caso, facendo cadere tutto;
allaccia le scarpe nel modo che mi ha insegnato un mio compagno di classe a
cinque anni, e le scarpe di sciolgono sempre; monta le cose nel modo sbagliato
e si rifiuta di cucire una toppa.
Però ci sono delle eccezioni bellissime.
Quest’anno, con uno dei bambini delle lezioni di inglese,
invece di leggere o fare esercizi, abbiamo cucinato torte. Non riesce molto a
concentrarsi, ed era stato deciso che io dovessi parlargli in inglese per due
ore, mentre giocavamo o andavamo al parco. Poi un giorno abbiamo fatto una
torta e lui si è appassionato. Abbiamo fatto dolci per tutto l’anno, uno o due
alla settimana, e l’ultimo giorno abbiamo cucinato una torta a due piani con
tanto di marmellata in mezzo e glassa di cioccolato sopra.
Lui si è appassionato, i genitori ormai mi considerano una
cuoca provetta e io ho scoperto la mia dose immensa di senso pratico. Nelle
cucine degli altri, infatti, il senso pratico emerge. E con un bambino che
potrebbe far cadere tutto il dolce per terra o, peggio, ustionarsi nel forno,
il mio senso pratico cresce ancora di più.
Come la maggior parte delle cose che non so fare, se c’è una
speranza che io riesca a farle, questa si annida durante le lezioni con i
bambini.
Ma per alcune cose non c’è speranza.
Quando non facevamo le torte, con questo bambino spesso
giocavamo a un quiz sulle capitali, le bandiere, la popolazione e i confini di tutti
i Paesi del mondo, anche quelli di cui ignoravo l’esistenza. Avevo parlato dell’odio dei bambini per la geografia, ma lui è un’eccezione.
Il bambino è rimasto sconvolto dalla mia quasi totale
assenza di conoscenze geografiche. In questo caso, non c’è speranza.
Photo by Roberto Sorin on Unsplash
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