I giochi inventati
La bambina che abita nella casa accanto, qui in montagna, a
volte gioca sul vialetto davanti alla sua porta d’ingresso. Ha delle pistole ad
acqua, almeno un paio, e le usa per sparare contro il muro di fronte. A volte,
dal giardino, sento i suoi passetti veloci e il piccolo rumore del grilletto di
plastica della pistola.
Altre volte, quando passo per il vialetto, è ferma davanti
alla porta, oppure fa qualche passetto, assorta in un gioco tutto suo. Mi
sembra che, fino all’anno scorso, chiacchierasse anche un po’ da sola nel suo
gioco, forse adesso si sente troppo grande per farlo. Quando passo si
interrompe per un attimo, mi saluta e poi ricomincia.
Questi suoi giochi mi hanno ricordato quando ero piccola e
anche io gironzolavo per il giardino della casa al mare immaginando altre cose.
Era proprio un ritmo diverso, credo, quello di quando camminavo e saltellavo
immersa in un gioco, potevo percorrere avanti e indietro lo stesso pezzetto del
giardino senza farci caso, perché i passi erano solo un modo per stare assorta
in qualche gioco immaginario tutto mio.
Il punto migliore per perdermi dentro all’immaginazione era
l’altalena che mio nonno aveva sistemato in giardino. Era in un angolo ombroso
e tranquillo e io ero capace di passarci ore e ore senza accorgermene. Il momento
migliore per l’altalena, quello che non saltavo mai, era la mattina presto. Anche
da piccola non avevo una grande predisposizione al sonno e così, appena
alzata, mentre il resto della casa dormiva ancora, io sgattaiolavo sull’altalena.
L’unica persona sveglia a quell’ora era un’anziana zia che passava le vacanze con
noi, io la salutavo in cucina e poi mi dirigevo alla mia postazione. In genere
restavo lì fino a quando non vedevo la serranda della camera dei miei genitori che
si alzava. A quel punto saltavo giù e andavo a fare colazione con mia madre.
Oltre a questi giochi solitari, però, ce ne erano molti
altri. Nella casa al mare, per cominciare, mia sorella e io potevamo ampliare,
insieme a nostra cugina, il gioco delle coperte, uno dei nostri preferiti quando
eravamo a Roma. Avendo a disposizione il giardino si aprivano di fronte a noi
molte più possibilità. Il gioco iniziava con la scelta di un pezzo del giardino.
Ognuna di noi ne selezionava uno e lo comunicava alle altre. Non ricordo, stranamente,
particolari litigi in questa fase del gioco. Il giardino era abbastanza ampio
per tutte, anche quando, oltre a me, mia sorella e mia cugina, si aggiungevano una
o due amiche invitate per il pomeriggio.
A questo punto iniziava la costruzione della casa vera e propria.
Avevamo un tempo prestabilito per arredare come volevamo il nostro spazio,
prendendo tutto ciò che trovavamo in giro per il giardino e anche dentro casa. Questa
era una fase molto concitata, perché bisognava riuscire a prendere le cose
migliori prima che ci arrivassero le altre. Ancora mi chiedo come fosse
possibile che zii e genitori non ci fermassero nella nostra impresa. Ricordo
vaghe rimostranze, ma niente di più. Forse erano rassicurati dal fatto che non
potessimo portare via cose troppo pesanti.
Quando il tempo era scaduto ognuna di noi andava in visita
alla casa delle altre per vedere come l’aveva sistemata e la padrona di casa ci
illustrava per bene i vari mobili che possedeva e la loro funzione. Era carino
guardare cosa avevano inventato le altre, anche se a me le loro case sembravano
sempre più belle delle mie.
C’erano altri giochi che facevamo per il giardino, ma questo
era il mio preferito. Per un po’ avevamo inventato un cinema e un albergo, di
cui noi vendevamo i biglietti da una delle finestre. Non ricordo in cosa
consistesse esattamente questo gioco, visto che non costruivamo né un cinema né
un albergo. Credo che il fulcro del gioco fosse vendere i biglietti e affittare
le camere. A turno una di noi gestiva il cinema o l’albergo e le altre erano le
clienti. Tanti anni fa ho ritrovato un piccolo quadernino in cui mia cugina e
io annotavamo i nomi dei vari clienti e le loro richieste e mia sorella faceva
degli scarabocchi.
Poi c’erano i giochi “normali”, ovvero quelli con la palla o
con la corda. E poi, e quelli erano momenti eccezionali, nostra cugina più grande
ci organizzava una caccia al tesoro.
Non so come fosse iniziata questa cosa. Forse, un pomeriggio,
vedendoci particolarmente annoiate, aveva deciso di farci questo regalo. Da quel
momento, mi sembra di ricordare che avessimo iniziato a chiedere con insistenza
che ne rifacesse un’altra.
Mi diverte pensare a tutti questi giochi perché adesso li trovo noiosi, anche se mi affascinano. Quello che ancora mi piace è questo perdermi dentro ai pensieri inventati.
L'unico inconveniente è che a volte non guardo dove metto i piedi e inciampo.
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