Macchina e disavventure

 


Ho già parlato del mio pacifico e felice rapporto con la macchina.

Se potessi, non la userei mai, ma poi a volte è utile e allora mi rassegno. Mi dimentico che odio parcheggiarla, che mi agito nel traffico e che mi viene l’ansia se mi perdo. A., invece, non sembra avere problemi a parcheggiare la macchina, anche a parcheggiarla male, o a guidare. O, almeno, non sembra esserne toccato particolarmente.

Ma è toccato dal costo del bollo della macchina, dell’assicurazione, della revisione. Quindi, di tanto in tanto, propone di darla via. Di tanto in tanto ne parliamo per un po’, ma poi arriviamo sempre alla stessa conclusione: alcune cose, come andare in montagna, diventerebbero quasi impossibili. Quindi alla fine non se ne fa mai nulla.

Ci limitiamo a parlarne ciclicamente, in genere quando qualche evento esterno ci spinge a trattare l’argomento.

È accaduto, per esempio, domenica scorsa.

Eravamo in montagna e stavamo per partire quando la macchina ha deciso di non mettersi in moto. A., con l’aiuto di uno dei dieci abitanti del posto, ha cercato di capire quale potesse essere il problema. Io ho mangiato un’arancia lì accanto e mi sono infilata il cappotto mentre riflettevo sulla sfortuna.

Dopo diversi tentativi falliti, è stato chiamato il carroattrezzi. Abbiamo mangiato di corsa, masticando a malapena, e siamo corsi fuori di casa per aspettare il carroattrezzi previsto per l’una. Venti minuti dopo ci ha comunicato che sarebbe arrivato dopo mezz’ora.

Questo tempo ci ha dato modo di pulire la macchina, ovvero di togliere quintali di roba sparpagliata ovunque. Ecco alcune delle cose rinvenute al suo interno: pezzi di candele mezze finite che io volevo fondere per crearne di nuove, vestiti vecchi, volantini, barattoli vuoti e ben tre giornalini di mondo convenienza.

Poi ci siamo seduti in macchina e abbiamo parlato dell’inutilità della macchina e del perché fosse giusto darla via. Se tanto dovevamo sempre farla controllare o rischiare di avere imprevisti di quel tipo, tanto valeva sbarazzarsene.

Poi è arrivato il carroattrezzi.

Ho costretto A. a mettersi nel posto in mezzo, accanto al guidatore, così da non dover essere io a interagire. Io volevo ricoprire il mio ruolo da donna che si isola nelle questioni di macchine e non interagisce con i carroattrezzi.

A. e il carroattrezzi hanno parlato dell’Abruzzo, che è la regione più verde d’Europa ma non sa attrarre i turisti come il Trentino e del fatto che si pensa di fare il ponte sullo stretto di Messina quando qui le ferrovie sono ancora a un unico binario. Il carroattrezzi (che poi è l’uomo che lo guida, ma non so come si chiama) ci ha depositati sotto casa del meccanico nel paese vicino.

Al telefono, il meccanico ha detto: “è domenica, sono a pranzo. Quando ho mangiato arrivo”.

È apparso mezz’ora dopo. È un signore magro magro, con pochi capelli bianchi e pochi denti, che già altre volte ci ha aggiustato la macchina. Ha preso gli attrezzi e ha dichiarato: “Dobbiamo fare una diagnosi”. A. si è salvato il suo contatto come “dottore auto”.

Le previsioni non erano rosee. Poteva essersi rotta la pompa della benzina o poteva essere un problema elettrico. In entrambi i casi, si prospettava un lavoro lungo giorni. A. e io avevamo guardato già i treni lentissimi che ci avrebbero permesso di arrivare a Roma la sera.

Invece, era finita la benzina.

Si era rotta la spia della benzina e la macchina, che è a gpl, non aveva abbastanza benzina per accendersi e partire.

Il sollievo per questa notizia è stato così grande che A. ha iniziato a chiacchierare a lungo con il meccanico.

Hanno parlato dell’Italia, che è rimasta indietro di anni, delle temperature che sono cambiate, perché prima, a Pasqua, a volte nevicava tantissimo, e del nipote del meccanico, che è meccanico anche lui (come il padre, il figlio del meccanico), “ma non ha passione”. E del ponte sullo stretto di Messina.

Io ho di nuovo svolto brillantemente il mio ruolo da donna che non parla con i meccanici e con i guidatori di carroattrezzi, restando in macchina a leggere. Faceva freddo, piovigginava e io volevo leggere in macchina.

Poi il meccanico ci ha offerto un caffè in un vecchio bar lì accanto. C’era odore di pioggia e c’era una luce un po’ bianca e grigia. C’era un gatto nero e grasso davanti alla porta e un bambino che voleva comprare tutte le uova di cioccolato del bar.

All’improvviso, mi è sembrata una domenica bellissima.


Foto di Olivier Chatel su Unsplash

 

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