Leggere a pezzi - Novembre

 


L’anno scorso mio padre, in vacanza, tornando a casa dopo essere andato a comprare il pane, ha detto: “Tra un cliente e l’altro, la fornaia apriva un libro e si metteva a leggere. Non so che libro fosse, ma ci vuole un’attenzione notevole per riuscire a concentrarsi con tutte quelle interruzioni”.

Quest’immagine della fornaia mi è rimasta impressa e l’ho immaginata correre ad aprire il libro appena non vedeva nessuno sulla porta. Ci ho pensato perché io porto sempre i libri appresso e spesso li apro anche se ho poco tempo. Se è davvero poco, in realtà, è abbastanza frustrante, perché riesco a malapena a entrare in un pezzo che ne devo subito uscire. E, in alcuni casi, arrivata a casa mi trovo a rileggere di nuovo lo stesso passaggio, perché non me lo ricordo.

Però accade anche qualcos’altro: a volte la realtà circostante inizia a tingersi di quello che leggo. Qualche giorno dopo, se ritorno nello stesso posto, scopro che quel luogo mi ricorda quello che stavo leggendo.

Non tutti i libri si possono portare appresso e non tutti vanno bene per ogni occasione. Se provo a leggere Proust in qualche minuto di pausa probabilmente non arrivo neanche alla fine di una frase. E non va molto bene neanche la sera, quando sono stanca. Proust è per i pomeriggi con tanto tempo. O, al massimo, per viaggi in metro particolarmente lunghi e comodi.

Per questo motivo, trovo molto comodo leggere diversi libri insieme.

Mi è venuto in mente di fare un piccolo bilancio, a fine mese, delle cose che leggo. Ecco qui quello di novembre. (I riferimenti completi ai libri sono in fondo all’articolo).

 

Ho iniziato Olive Kitteridge a fine ottobre, prima di partire per Londra, seduta su una panchina davanti alla scuola di un bambino. È stata una lettura a pezzetti un po’ brutta, devo dire, qualche pagina di corsa prima di entrare a scuola, mentre avrei desiderato restarmene sulla panchina e scoprire cosa sarebbe accaduto. Se dovessi dire che cosa succede nel libro, così come nella maggior parte dei libri della stessa autrice, direi “nulla”. Ma quel nulla è meraviglioso ed è pieno di cose.

Pochi giorni dopo sono partita e non ho portato Olive Kitteridge in viaggio perché ero ben oltre la metà e mi sembrava sprecato. La verità è che ero arrivata a un punto triste e, visto che anche la partenza mi rendeva triste, non volevo leggerlo. In aereo ho iniziato The Mill on the Floss (Il mulino sulla Floss). È bello iniziare un libro in aereo, perché non si può essere interrotti da nessuno.

Appena arrivata a Londra sono andata nel mio posto preferito, una libreria sterminata alta cinque piani. Ho comprato, tra gli altri, The Waves (Le onde), e durante i viaggi in metro sono passata a quello. Era una lettura tremenda, scomoda, in cui ogni mattina leggevo due/tre pagine che, non avendo un segnalibro, la sera rileggevo da capo; però mi è piaciuta molto, perché la mattina facevo una lunga passeggiata passando dentro Bloomsbury e quindi mi sentivo molto in sintonia con l’ambiente di Virginia Woolf. Forse lo leggevo solo per quello. Arrivata a Roma, infatti, l’ho interrotto, forse per paura di non trovarci più le stesse cose dentro.

Subito prima di ripartire da Londra ho comprato un altro libro, Women Who Run With the Wolves (Donne che corrono coi lupi). E, visto che sull’aereo è bello iniziare i libri, ho cominciato a leggerlo. Anche se, in questo caso, sono stata interrotta da un signore che, poco dopo il decollo, ha iniziato a sentirsi male. Io e l’amica che era con me, sedute in seconda fila, abbiamo visto la hostess terrorizzata prendere una macchina di ossigeno e attaccarsi al telefono con disperazione, coprendosi la bocca per non far vedere che cosa stava dicendo. La mia amica, che ha paura dell’aereo, ha cercato supporto in me, ma tutto ciò che ha ottenuto è stato: “Se ci fanno fare un atterraggio di emergenza io non ce la faccio a risalire sull’aereo.” Il signore, a quanto pare, era solo in ansia, e aveva preso troppo tardi un calmante che, a un certo punto, gli ha fatto effetto.

Tornata a casa ho ritrovato Olive Kitteridge e ho scoperto che il pezzo triste era pressoché finito, e che invece andando avanti diventava più allegro.

Chiusa in casa con il covid, ho ripreso The Mill on the Floss, trascorrendo lunghe ore raggomitolata sul letto. Ho impiegato un po’ di tempo a entrare nell’ambiente di provincia della prima metà dell’Ottocento, ma ho avuto tanto tempo a disposizione e, da un certo punto in poi, i personaggi hanno iniziato a parlare con voce propria e a sembrarmi quasi dei vicini di casa. Sono quindi passata a un libro completamente diverso, anche per lunghezza, La città e la casa di Natalia Ginzburg, letto in tre giorni in compagnia dell’aerosol. Vista la sua mole ridotta, lo potevo facilmente reggere con la mano libera dall’apparecchio, ed essendo un romanzo epistolare con lettere abbastanza brevi riuscivo a non perdermi.

Appena ho finito il libro l’aerosol si è rotto, iniziando a buttare fuori bolle al posto del vapore.

Mi sono accorta di aver parlato, più che di libri, di cosa accade fuori. Ma io detesto sapere troppo di un libro prima di leggerlo e trovo che sia bello vedere tutto il mondo di fuori che resta appiccicato alle pagine.

 

Questi i libri citati:

Olive Kitteridge, di Elizabeth Strout.

Le Onde, di Virginia Woolf.

Il Mulino sulla Floss, di George Eliot.

La città e la casa, di Natalia Ginzburg.

Donne che corrono coi lupi, di Clarissa Pìnkola Estés

 


Photo by Jason Leung on Unsplash

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