Sporcarsi

 


Ogni estate, quando eravamo a Roma, mia sorella e io venivamo spedite al centro estivo. La baby-sitter veniva a prenderci, compravamo un gelato e andavamo a casa a rifugiarci dal caldo.

Ed eravamo sempre sporchissime.

Appena mettevamo piede dentro casa, fiumi di terra si riversavano con noi per il corridoio.

Il punto più alto di sporcizia era stato raggiunto un pomeriggio da mia sorella, che era arrivata a casa con la terra dappertutto, anche nelle mutande. Era tutta marrone e, per completare l’opera, aveva la faccia impiastricciata di gelato. Le avevamo fatto una foto sul balcone, ma, purtroppo, la foto non è riuscita a comunicare la sua sporcizia, sembra solo una bambina sorridente con qualche macchia di panna accanto alla bocca.

Anche io tornavo molto sporca, soprattutto quando, in uno dei vari centri estivi, ci facevano concludere la giornata con un gioco chiamato “le scalate”.

Il gioco era molto semplice: si andava in un punto di villa Ada, ai lati del sentiero che porta fino al laghetto più grande, si salivano dei rialzi di terra, delle piccole montagnette ai lati della strada e ci si buttava giù. Adesso, quando vado a correre, passo sempre davanti a questi rialzi, a queste “scalate” alla fine del mio giro. Spesso ripenso al loro passato glorioso, a quando avevano quel nome altisonante ed erano fonte di estrema felicità e di enorme sporcizia. Adesso, a vederle da sotto, mi sembrano piccolissime. Per noi, invece, erano alte, delle montagne di terra da risalire e dalle quali ridiscendere giù, come se fossero degli enormi scivoli naturali.

Salivamo e scendevamo a ripetizione, buttandoci uno dietro l’altro sulla terra, alzando nuvole e nuvole marroni intorno a noi, mentre gli animatori restavano giù, sorvegliavano il gioco e si occupavano dei bambini più piccoli che avevano un po’ paura. Quando il momento delle scalate era finito i nostri vestiti erano irriconoscibili.

Sono ancora molto sorpresa se penso che nessun genitore si sia mai lamentato di questo gioco. Chissà se, adesso, verrebbe riproposto con la stessa serenità. Penso di no.

Mia madre non era per niente contraria al fatto che mia sorella e io ci sporcassimo, anzi, diceva che i francesi si sporcavano molto di più. I francesi non erano come gli italiani, sempre preoccupati che i figli prendessero un po’ di freddo o due gocce d’acqua, loro mandavano i bambini al parco anche quando il tempo era brutto; i bambini si riempivano di fango e di pioggia e non si ammalavano mai. In effetti, seguendo questo esempio, neanche io mi ammalavo mai. Mia madre mi mandava a correre a maniche corte e scuoteva la testa quando vedeva le madri delle mie compagne di classe tirare fuori la giacca al primo colpo di vento.

All’interno del mondo di ansie di mia madre, infatti, prendere un po’ di freddo non era poi così pericoloso, di sicuro non come rischiare di strozzarsi con il prosciutto o ingoiare un dente da latte mentre si dorme. Prendere freddo avrebbe al massimo provocato un raffreddore, nulla di più. E sporcarsi non avrebbe portato a nulla di grave. Questo, ovviamente, non valeva se si consideravano cose come toccare oggetti sconosciuti e poi toccarsi la bocca, oppure mangiare qualcosa che era appena caduto per terra, anche se eravamo a casa. Ma sporcarsi e basta non era pericoloso.

Quindi noi ci potevamo sporcare.

Con la terra delle scalate. Con il fango quando aveva piovuto. Al parco, con l’erba (avevamo dei jeans rovinati che avevano ormai delle macchie verdi indelebili sulle ginocchia). Con il cibo.

Magari mia madre si arrabbiava se durante il pranzo o la cena sporcavamo un vestito appena messo, ma neanche troppo. Se non dovevamo più uscire ce lo lasciava così. Ricordo una volta in cui avevo un’enorme macchia di sugo sul pigiama, al mare, e mia madre mi aveva mandato a comprare il latte al supermercato perché non ce ne era abbastanza per la colazione. Io ero corsa fino al reparto frigo, lo avevo afferrato e poi ero stata tutto il tempo con il cartone del latte sopra la macchia per nasconderla.

Ma nessun cibo sporcava più del cocomero. Ci impegnavamo proprio, a sporcarci, incoraggiate da mio nonno, che ci istruiva su come mangiarlo meglio. Dovevamo fare molto rumore e lavarci la faccia dentro, impiastricciarla tutta con il succo del cocomero.

Ancora adesso, quando mi danno il cocomero tagliato a tocchetti, io lo trovo tristissimo. Se sono da sola, io mi ci lavo la faccia e mi sporco.

Sono rare le volte in cui riesco a sporcarmi come durante le scalate, ma sono bellissime.

 

 Photo by Jess Zoerb on Unsplash

Commenti

Post più popolari