La pazienza
Non mi è mai piaciuta tanto la pazienza.
Forse, a pensarci bene, a nessuno piace mai tanto la
pazienza. Non si porta appresso una grande reputazione, temo.
Ero indecisa se parlare di questo o se parlare del sole e
della crema solare, argomento molto presente in questi giorni, ma poi ho optato
per la pazienza. La crema solare rimarrà con me per tante altre settimane, d’altra
parte.
E poi, la pazienza si può trovare anche dentro alla crema
solare. Ogni volta, prima di uscire di casa, mi devo ricoprire di crema. Non ci
metto troppo tempo, ma è un cosa che preferirei non fare. E, inoltre, la devo fare
con calma e pazienza, altrimenti rischio di dimenticare dei pezzi di pelle e di
ritrovarli rossi fuoco pochi minuti dopo. In genere, però, la metto di fretta,
e poi, mentre vado in bicicletta sotto il sole, ho il terrore di bruciarmi.
La pazienza sembra essere dentro a tutte quelle cose che è
giusto fare ma che si preferirebbe di gran lunga evitare.
La prima cosa che mi viene in mente, se ci penso, è un cartone
animato con un’ape. Non credo sia l’ape Maia, ma un cartone più brutto, una
sorta di contenitore al cui interno andavano in onda anche filmati di altro genere,
che però non ricordo. Mi viene in mente quando penso alla pazienza perché
spesso vedevo questo cartone animato la mattina prima di andare a scuola mentre
aspettavo mia sorella. Probabilmente lo guardavo in piedi, già vestita, pronta
a uscire. E ricordo solo la frustrazione di essere lì a guardare quel cartone,
invece che già per la strada, diretta verso la scuola. Così, invece, avrei
aspettato l’autobus con l’ansia, con l’incubo di fare tardi.
La pazienza mi sembra un po’ questo, un’attesa snervante mentre,
in realtà, si vorrebbe fare altro. E forse mi viene in mente il cartone animato
mentre aspettavo mia sorella perché da piccola collegavo a lei la pazienza.
Era necessario avere pazienza se mia sorella mi faceva i
dispetti, perché era piccola. Bisognava avere pazienza se non imparava subito a
leggere, anche se io glielo spiegavo benissimo, perché era piccola. Avere
pazienza se ci metteva tantissimo a fare le cose, perché era piccola. Avere pazienza
se camminava molto lentamente e si fermava di continuo, perché aveva le gambe
più corte, visto che era piccola. Essere più grande sembrava un infinito lavoro
di pazienza alla fine del quale non c’era nessun premio. Quando, dopo il
cartone dell’ape, uscivamo finalmente di casa, aver avuto pazienza non sembrava
cambiare niente. Anche se avevo consumato la mia angoscia in silenzio, ferma davanti
alla televisione, poi arrivavo in ritardo lo stesso. E non mi godevo neanche l’eccezionalità
di aver avuto il permesso di guardare dieci minuti in più di televisione, quel
mostro nero odiato da mia madre.
Ma la pazienza non finiva con mia sorella, continuava
dappertutto. Bisognava avere pazienza se qualche amico voleva fare una cosa che
a me non piaceva. Bisognava avere pazienza per aspettare il proprio turno per
andare in bagno se qualcuno voleva andarci prima, o per scegliere il libro
della biblioteca di classe. Bisognava avere pazienza quando leggevano dei
compagni di classe lentissimi.
La pazienza non era come quell’attesa bella ed eccitante di
quando chiedevo un regalo a Babbo Natale e lo aspettavo, o di quando immaginavo
cosa sarebbe successo l’estate, o di quando sbirciavo un giocattolo che mi
piaceva nella vetrina del negozio sotto casa e decidevo di chiederlo per il
compleanno. La pazienza, al contrario, sembrava solo qualcosa in cui perdevo.
E anche adesso, a dire la verità, mi sembra così. So che
potrebbe non esserlo, che potrebbe diventare qualcos’altro, ma non ci riesco, appena
sento la parola “pazienza” io mi sento schiacciata.
Sono andata a cercare il suo significato sul vocabolario: Disposizione d’animo, abituale o
attuale, congenita al proprio carattere o effetto di volontà e di
autocontrollo, ad accettare e sopportare con tranquillità, moderazione,
rassegnazione, senza reagire violentemente, il dolore, il male, i disagi, le
molestie altrui, le contrarietà della vita in genere.
Quindi la
pazienza è proprio nata così, per sopportare.
Allora,
forse, non ha tanto senso farmela piacere, è proprio fatta un po’ male. Sto
iniziando a rivalutare, al contrario, la distrazione. La critico sempre, ne parlo
malissimo, ma, forse, a volte è un antidoto ancora inesplorato per riuscire a
non sentire tutta la pazienza.
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