Sul balcone

 



Tre giorni fa, subito dopo pranzo, sul balcone sono comparse le tende. In realtà c’erano già da mesi, ma erano state sempre arrotolate all’insù, inutilizzate. Invece tre giorni fa sono state srotolate in tutta la loro lunghezza per coprire il balcone dal sole. (L’impersonale si riferisce ad attività svolte da A.)

Abbiamo portato fuori il caffè e i libri per studiare. Io avevo deciso di riesumare la mia grammatica latina del liceo per cercare di aiutarmi nello studio di un esame che dà per scontato che io la sappia. Ma, come dico anche qui, io ho dimenticato la maggior parte di quello che ho studiato. Ho quindi ripreso il mio libro di latino del ginnasio che, per qualche slancio di ottimismo, non ho mai buttato via (destino toccato ai testi di tutte le materie scientifiche con l’eccezione di fisica dell’ultimo anno: in questo caso, il libro non lo avevo neanche comprato, tanto forte era il mio rifiuto).

Mi sono messa sul balcone, pronta al peggio. Invece, è stato un momento di studio bellissimo. (Tutti i miei momenti di studio sono, appunto, solo momenti; io vorrei che si trasformassero in ore lunghe e ininterrotte, ma non ci riesco mai. Però a volte mi lamento della brevità di questi momenti e il giorno dopo li allungo appena.)

Questo momento di studio è stato medio-lungo ed è stato meraviglioso. Un po’ per il latino, perché mi sono resa conto di ricordare varie cose. Leggevo il mio libro pieno di appunti traballanti (a quanto pare in quarto ginnasio mi ero intestardita a scrivere con la sinistra, e le pagine sono piene dei miei tentativi) e nella mia testa si accendevano pozzi di memoria dati per persi. Ma, soprattutto, è stato meraviglioso per il balcone. È il balcone che ha reso bello questo momento di studio. È il balcone che ha reso questo momento di studio medio-lungo. Forse è addirittura il balcone che mi ha fatto ricordare il latino.

A me i balconi piacciono molto.

Credo che sia per il loro stare a cavallo tra il dentro e il fuori. A me piace stare a casa, ma se vedo il sole penso che sia un peccato non stare fuori. Cerco di tenere a bada questo pensiero andando a correre la mattina e poi rinchiudendomi in casa, come se, in questo modo, prendessi la mia dose di aria quotidiana e potessi permettermi di ignorare il sole per il resto del giorno. Non funziona sempre, però.

Allo stesso tempo, quando sono in giro sogno solo il momento in cui tornerò a casa. Lo inizio a sognare da quando mi levo i vestiti da casa e mi cambio per uscire. Per un periodo sono andata spesso a scrivere fuori, ma si è sempre rivelato un modo per perdere tempo, un modo per poter dire “vado a scrivere” e poi passare due ore al bar ad ascoltare le chiacchiere del tavolo accanto, che sembravano sempre più interessanti di quello che stavo scrivendo.

Il balcone, quindi, si rivela la soluzione perfetta. Sono fuori, ma sono anche dentro. Posso stare in tuta e tornare sempre dentro casa se ho fame, sete, o se ho dimenticato qualcosa. Questo balcone, poi, è abbastanza grande e comodo. Ma, anche se sono piccoli, a me vanno bene lo stesso. Ho passato ore e ore su quello minuscolo dei miei genitori, accucciata per terra, con libri, occhiali da sole e crema solare, vincendo il divieto di mia madre che aveva paura che sarei caduta di sotto. Tanti anni fa, al liceo, ci ho passato un primo maggio a studiare letteratura italiana. Mi ricordo che mi era parso un po’ triste, ma poi, tutto sommato, neanche troppo.

Il balcone rendeva tutto migliore. Vedevo, in fondo, le sagome delle montagne e i tetti. Mi sentivo appesa, quasi nel vuoto, in una sorta di piccolo osservatorio privilegiato. E tutte le cose fatte sul balcone sembravano più belle, un po’ strane. La merenda sul balcone non era come quella in cucina, leggere sul balcone non era come leggere sul divano.

Da quando il balcone è stato inaugurato, tre giorni fa, ci sono tornata tutti i giorni. Anche quando avevo una cosa sul fuoco e dovevo entrare continuamente dentro casa per controllarla. Anche se tirava un po’di vento e avevo freddo. Anche se avevo pochissimo tempo. Quando mi ricordo che mi sono dimenticata di andarci, mi arrabbio con me stessa e mi ci fiondo immediatamente. Faccio programmi nella testa per usarlo di più, e mi viene l’ansia se non ci riesco. Oppure, mentre do ripetizioni dal computer, e quindi sono costretta a stare dentro casa, lo guardo, tutto invaso dal sole, e sono triste.

Io non sono brava con le cose che mi piacciono: le faccio diventare dei doveri, oppure le tramuto in mancanze.

 

Photo by Annie Spratt on Unsplash

 

 

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