Abilità perdute
Qualche giorno fa ho letto una cosa sulle abilità. In realtà
era in inglese, e la parola era skills, che forse rende meglio, ma a me
non piace tanto come parola, sia perché odio usare i termini inglesi se parlo
in italiano, sia perché skills mi ricorda una delle voci da inserire nel curriculum quando facevo l’attrice e lo portavo alle agenzie. E nel mio curriculum, sotto alla voce skills, non c’era scritto quasi niente.
Non avevo abilità. Le poche che mi venivano in mente non mi
sembravano delle abilità vere e proprie, oppure le possedevo a un livello
troppo misero per inserirle nel curriculum.
Saper nuotare non mi pareva una vera abilità, ma qualcosa di
ovvio, come andare in bicicletta. Giocare a tennis si poteva considerare un’abilità?
Ma non ci giocavo da anni. Alcuni scrivevano “giocoleria”, “acrobatica”, “danza”,
“scherma”; io potevo scrivere “me la cavo con il tennis?”. Per qualche mese,
tanti anni fa, sono andata a un corso di acrobatica due volte a settimana.
Abitavo a Garbatella e la palestra era sul lungotevere Flaminio e io, per
arrivare, prendevo due metro diverse e un tram. Il tempo che impiegavo per andare
e tornare probabilmente superava quello della lezione. Ma io continuavo,
imperterrita. Non riuscivo a fare la spaccata e mi facevano paura le verticali,
perché a me angoscia stare a testa in giù, ma continuavo solo per il nome, solo
per poter dire alle persone “faccio acrobatica” e diventare abbastanza brava da
inserirlo sotto alle mie abilità nel curriculum.
Ho provato anche con danza, ed è andata molto meglio, ma
anche lì c’erano sempre attraversamenti lunghissimi della città (nonostante mi
fossi trasferita) e la mia incapacità nel ricordare una coreografia, per quanto
breve potesse essere. Ma io continuavo, sempre per lo stesso motivo, sempre per
poter dire: “Faccio danza”. Una volta una mia amica, quando c’eravamo appena conosciute,
mi aveva detto: “Tu danzi, vero? Si vede da come muovi il corpo” e io allora per
mesi mi ero detta che dovevo per forza continuare a fare danza, perché forse mi
stavo avvicinando a poterla inserire tra le mie abilità, se una persona
sconosciuta lo aveva pensato soltanto vedendomi alzare da una sedia durante un
workshop di critica teatrale.
Appunto.
A un certo punto ho smesso di andare a danza e mi sono sentita
molto felice di non dover più seguire le coreografie.
Il problema con questi sport era che io li facevo sperando
di essere brava, o, peggio, li facevo solo per essere brava.
Adesso faccio tanti sport e in nessuno sono brava. È molto
bello. Ma sono sport in cui è difficile stabilire la bravura, devo dire; anche
se, forse, è meglio così. Chi è che giudica la mia corsa a villa Ada? O il mio
andare in bicicletta? Già è un po’ diverso per le camminate in montagna; ma in questo
caso, più che di bravura, si tratta di spirito di sopravvivenza per riuscire a
seguire A. per chilometri di salita e sfuggire al suo implacabile giudizio. Già
è un po’ diverso per arrampicata, perché a volte ci possono essere altre
persone in palestra (molto poche, perché vado solo negli orari in cui è semivuota)
che potrebbero vedermi arrampicare. In genere riesco a ricordarmi che io non
sono brava e che non mi interessa esserlo, e va tutto bene. Qualche volta,
però, presa dall’euforia di qualche via difficile che riesco a fare, me ne
dimentico e faccio come lo scorso sabato, quando, secondo quanto mi ha riferito
A. (ma lo avevo notato anche io) “continuavi a dire ad altissima voce tutte le
vie difficili che stavi per fare e che avresti fatto, era un po’ strano”.
Ma anche questi brevi momenti di bravura di arrampicata
durano poco, e posso continuare ad andarci.
Il testo che leggevo sulle abilità/skills parlava anche di
abilità perdute, ovvero tutte quelle cose che si sapevano fare e che poi, però,
si sono perse. Il testo consigliava di scriverle e io l’ho fatto.
Suonare il violino. Ho iniziato in prima media, su
suggerimento di mia madre. Mi piaceva la scuola di musica, mi piaceva lo
strumento, mi piaceva quando riuscivo a suonare qualcosa di non stonato. Ma quello
che mi piaceva di più era camminare con il violino sulle spalle per andare alle
lezioni e pensare alle persone che mi guardavano e pensavano: “Lei suona il
violino” o che, magari, mi chiedevano cosa fosse lo strumento che portavo sulle
spalle. E poi ho smesso.
Tradurre in latino e tradurre in greco. Finito il liceo, non
ho più avuto alcun motivo per tradurre qualcosa. A volte A., per motivi a me sconosciuti,
declama le declinazioni di alcuni nomi o i paradigmi di alcuni verbi greci. Quando
è insicuro mi chiede la conferma. Io rispondo con uno sguardo vuoto. “Ma tu non
hai studiato greco?”. Sì, ma poi ho scordato tutto. Un po’ mi dispiace, certo,
un po’ sarebbe bello poterlo fare ancora, poter leggere degli autori greci,
poter ricordare da dove derivino alcune parole greche; ma la cosa più bella sarebbe
poter dire: “Io so tradurre il greco”.
Tutte le abilità, per me, sono solo cose da poter dire. Cose
da inserire in un fantomatico curriculum sotto all’odiata voce skills.
Non penso di essere una persona da abilità. A me piace leggere
e quella non è un’abilità, se si esclude la pazienza e l’attenzione che occorrono per leggere una frase di Proust in cui non ci sono punti per una pagina e
mezza. Ma, finito quello, che altro c’è?
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