Autostrade di niente
In uno dei video che mio padre faceva quando ero piccola, io
mi arrabbio perché mi sta riprendendo. In realtà, non proprio perché mi sta riprendendo
ma, piuttosto, perché non mi viene in mente niente da fare davanti alla telecamera.
E quindi mi arrabbio. Fisso la telecamera e chiedo qualche
consiglio, ma mio padre non dice molto. Mi aggiro senza sapere cosa fare per la
camera che divido con mia sorella, anche se, per il momento, lei occupa, per
fortuna, soltanto il suo lettino. Lo spazio è ancora tutto mio, ma, tra pochi
mesi, verrà invaso sempre di più dalla sua presenza.
In questo momento, però, è ancora ferma nel lettino e sono
io che, nel video, dovrei fare qualcosa. Inizio a saltellare avanti e indietro con
fare scocciato, mentre ripeto: “Non mi viene in mente niente!” E poi: “Uffa!” Mentre
salto, le due treccine che ho in testa saltellano con me. Faccio pose esagerate
con le braccia, mimando in maniera molto evidente il mio fastidio. E continuo a
ripetere che non mi viene in mente niente.
Ed è terribile, questo mio brancolare nel niente, perché sta
accadendo nel momento in cui vengo ripresa, proprio quando, invece, dovrei
essere piena di cose da far vedere. O forse questo niente arriva proprio per
questo, proprio perché, sentendo tutta l’attenzione rivolta su di me, mi blocco.
Queste sono tutte considerazioni fatte da me adesso, ovviamente, non ho alcun
ricordo di cosa pensassi in quel momento. A un certo punto si capisce che c’è
stata una pausa nel video perché io, invece di saltellare arrabbiata, sto mangiando
un pezzo di prosciutto, rasserenata. Dall’altra stanza, mia madre mi chiede
cosa stia facendo mia sorella e io le rispondo, sorpresa: “Sta nel lettino”.
Non capisco cos’altro ci si possa aspettare da mia sorella. Ma mia madre deve darmi
un’idea perché, un attimo dopo, finito il prosciutto, vado accanto al suo lettino
e le annuncio, soddisfatta: “Adesso ti tiro su.” La regia di mio padre qui ha
un tocco di classe e regala agli spettatori un primissimo piano del faccione
tondo e imbambolato di mia sorella. Io le annuncio come intendo procedere nell’operazione:
“Prendo un piedino e una manina”. Prima che io riesca ad attuare il mio piano
tremendo, mio padre ha interrotto la registrazione, come dico anche qui.
Non ho idea di che giorno fosse (probabilmente un sabato o
una domenica?) e non so il mese dell’anno, anche se potrei riscostruirlo dai vestiti
che indosso e da quanto è grande mia sorella. Non so cosa ho fatto dopo e cosa
avevo fatto prima. Ma so che ho ripetuto tante altre volte questa frase: “Non
mi viene in mente niente!”. Mi capita ancora di sentire quella sensazione lì, quella
sensazione di stare nel vuoto proprio quando, invece, bisognerebbe essere pieni
di parole. Forse è per questo che io non sono mai a corto di parole. Io dico
sempre qualcosa. Impedisco a quel niente di entrare.
Tutte le volte che mi sforzo e gli do un po’ di spazio, a
quel niente, è bellissimo. In realtà il niente non è più niente e basta ma si tinge
di cose, viene attraversato da pensieri che, se non avessero una distesa di
niente, si rifiuterebbero di uscire fuori.
L’idea di parlare di me che protesto: “Non mi viene in mente
niente!” mi è venuta mentre varcavo il portone di casa, tre giorni fa, dopo
essere fuggita all’impulso di guardare il cellulare appena poggiata la bici. Questo
pensiero si è intrufolato in questo pezzetto di niente che ha trovato. Altri pensieri,
però, hanno bisogno di una maggiore quantità di niente, di una vera e propria
autostrada di niente. A volte la trovano quando vado in bicicletta, oppure
quando corro. A volte in questo niente noto anche dei dettagli del paesaggio, paiono
sventolare bandierine per farsi notare. Ma, se non c’è il niente, le bandierine
non le vedo proprio.
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