Orientarsi

 


Io non so leggere le carte geografiche. Neanche Google Maps, in realtà, perché a volte lo oriento al contrario e altre volte non capisco quale strada dovrei imboccare, perché mi sembrano tutte troppo vicine o troppo lontane.

L’unico momento in cui sono stata incaricata di leggere una mappa è stato durante un viaggio a Berlino qualche anno fa, in vacanza con un’amica che si era rivelata ancora più incapace di me. Per una volta ho provato l’ebbrezza di avere in mano una carta e di pretendere di sapere dove stessimo andando; la verità è che abbiamo passato quattro giorni a perderci senza speranza.

Un giorno un mio amico mi ha detto che, per imparare le strade, gli uomini usano l’orientamento, mentre le donne memorizzano i posti davanti ai quali sono passate per ricordare la strada. Io non so se sia una cosa vera, con delle basi scientifiche, oppure no, ma il suo commento era nato dal fatto che io, per ritrovare il teatro in cui facevamo le prove, avevo memorizzato quei bar e quei negozi che mi sembravano più caratteristici. Lui e l’altro attore, invece, si erano orientati seguendo i punti cardinali (o così sostenevano. Secondo me si ricordavano anche loro i negozi, solo che in modo meno preciso di me.)

Memorizzare i posti davanti ai quali sono passata è l’unico modo che ho per provare a ricordare un percorso, poiché il mio senso dell’orientamento è del tutto assente. A diciotto anni, in vacanza a Gardaland, io e la mia amica Diletta siamo riuscite a perderci all’interno del parco, con tanto di mappa in mano e di attrazioni che svettavano enormi e ben visibili accanto a noi.

Anche mia madre non sa leggere le carte geografiche. Mia sorella non so, credo se la cavi meglio.

La totale incapacità di leggere le carte geografiche di mia madre è stata al centro di interminabili percorsi in macchina per Roma, in cui lei portava me e mia sorella in cinema lontanissimi e, in un’era senza smartphone e navigatore, doveva poi riuscire a riportarci indietro (era peggio se la strada la perdeva all’andata, rischiando di farci saltare il film, ma, da quello che ricordo, si arrivava in qualche modo al cinema, era il ritorno che era lungo e tortuoso). Ho questa immagine di noi tre ferme in macchina nel nulla, in un posto indefinito, di quell’indefinito che hanno i posti quando si è piccoli e tutto è sconosciuto, visto attraverso il finestrino di dietro. Mia madre esce dalla macchina ed entra in un bar, non so se per chiedere informazioni o per usare il telefono, ma ricordo questa sensazione di stare nel nulla e di non riuscire a tornare a casa.

Il problema di mia madre con le carte geografiche si riproponeva durante qualunque viaggio in macchina, quando mio padre, incerto sulla via da prendere, le chiedeva di controllare sullo stradario.

Sedute dietro, io e mia sorella trattenevamo il respiro, tra l’ilarità e il terrore. Potevo predire quello che sarebbe successo: mia madre non sarebbe riuscita a trovare la strada e mio padre si sarebbe arrabbiato. Mi chiedevo perché continuasse a chiederle di usare lo stradario, quando era chiaro che era incapace. Quasi che fosse una sfida, un test per vedere se quella volta, invece, ce l’avrebbe fatta. Ma lei non ce la faceva mai. Forse era proprio la pressione del test incombente che peggiorava tutto, fatto sta che ogni volta mio padre era costretto a fermarsi ai lati della strada e a trovare la via da solo sullo stradario, sbraitando che non vedeva cosa ci fosse di così difficile.

Il punto più alto di questi inconvenienti è stato raggiunto durante un viaggio in Olanda.

Avevamo affittato una macchina ad Amsterdam per andare in giro per i polder. Era stata una giornata piena di sole, avevamo visto quello strano mare che sembrava stare in cima a una collina e io mi ero anche messa a correre sulla riva, trovando forse il mio unico momento di pace in tutto il viaggio.

Avevo quindici anni e stavo passando tutta la vacanza ad Amsterdam in un silenzio quasi totale, attaccata al mio lettore cd con cui ascoltavo a ripetizione gli stessi tre dischi.

Mentre stiamo tornando ad Amsterdam, però, ci perdiamo. Ci siamo persi perché mia madre non ha saputo guardare la carta. Ci siamo persi e, quindi, rischiamo di riportare la macchina oltre il tempo previsto, dovendo pagare molto di più. Mio padre continua a urlare che non è possibile che mia madre non sappia usare la carta geografica (che poi, mi chiedo, in che lingua era?), lei continua a provarci ma peggiora solo la situazione, sbaglia di nuovo e ci fa ritornare indietro, in una strada che non sembra avere svincoli per invertire la rotta. La furia di mio padre riempie la macchina. Non ci sono neanche punti per fermarsi e guardare la carta per conto suo. Io e mia sorella, nascoste dietro, siamo piegate in due dalle risate. Non so perché troviamo la situazione così esilarante, ma non riusciamo a fermarci.

Poi mia madre, di fronte alla tragedia in corso, azzarda una proposta: “Potremmo chiedere indicazioni a qualcuno.”

Io non so se questa cosa che le donne chiedono indicazioni e gli uomini invece non lo facciano mai sia un solito luogo comune, ma in macchina con i miei genitori è sempre stato così.

“Parleranno solo olandese” ribatte mio padre.

Poco dopo, però, in mancanza di alternative, fa scendere mia madre in una specie di autogrill nel nulla. Lei si trova davanti un signore che, nella campagna olandese, parla un francese perfetto (lingua che mia madre parla come l’italiano e che, per tutta una serie di suoi motivi, non ha mai insegnato a me e a mia sorella, ma questo è un altro discorso.)

Ripenso a questo evento ogni volta in cui prendo la macchina e mi perdo, ma anche ogni volta in cui sono a piedi e mi perdo.

Ma non solo.

Mi confronto con la mia mancanza di senso dell’orientamento ogni volta in cui mi trovo davanti a una mappa. Quando con A. andiamo a camminare in un posto nuovo, lui prova a farmi vedere il percorso sulla carta. A me salgono i brividi per il fastidio. Provo questa sensazione con qualunque cosa assomigli a una carta geografica, anche quelle disegnate in un libro fantasy. Non riesco a leggerle, non riesco a usarle per visualizzare le cose. Quando entrano in gioco i punti cardinali, le cose non le riesco a vedere più. Quando, in un libro, iniziano a dare indicazioni su destra, sinistra, sopra e sotto, io mi arrabbio. Mi sento presa in giro.

Fino a quel momento stavo costruendo una mia bella immagine precisa di quel giardino, di quel parco, di quella casa, di quel posto qualunque, ma appena arrivano le indicazioni spaziali su dove si trovano i diversi elementi sono costretta a scontrarmi con il fatto che quello che ho immaginato non combacia con quello che c’è nel libro.

E vorrei che quello che visualizzo io fosse la versione giusta, ma so che è quella sbagliata, perché non l’ho scritta io. Però potrei fregarmene e scegliere comunque la mia versione, il mio bel paesaggio mentale che ho costruito, dirmi che non importa sbagliare, quello che importa è l’immaginazione e tutto il resto.

Non ci riesco mai. Odio sbagliare.



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