Il panico e le pulizie



Qualche anno fa, tornata da un viaggio di tre settimane a Boston dove ero andata a trovare una mia amica, mi sono messa a pulire ossessivamente la casa. Più che ossessivamente, direi con una dedizione assoluta.

Forse in questa dedizione assoluta si poteva trovare la parte ossessiva della vicenda.

Ero stata invitata a Boston perché all’inizio dell’estate ero apparsa talmente giù a questa mia amica da farle esclamare: “Non mi viene in mente nulla per aiutarti se non venire a stare qui per un po’”.

E aveva funzionato. Avevo trasportato i miei problemi da un’altra parte e a loro aveva fatto bene.

Anche perché, in quell’altra parte, soprattutto se è lontana, si diventa una versione un po’ diversa da quella solita, una versione che si osserva con gli occhi degli altri, una versione che ha poche cose a disposizione e che per tante ore al giorno non può chiamare nessuno a causa del fuso orario.

Quando, però, sono tornata alla realtà vicina, ho iniziato ad essere invasa dall’ansia. “Ora sarà tutto come prima” mi sono detta con terrore, “ora sono la persona solita.”

E allora, per scongiurarlo, ho iniziato a pulire la casa.

In quel periodo abitavo con tre coinquiline, che in quella settimana di fine agosto erano ancora in vacanza. Ho passato giornate ad aggirarmi nella casa vuota e a sistemarne ogni angolo.

Ho rovistato in una scatola in corridoio piena di cose elettriche e di pezzi di altre cose; ho tirato fuori dal frigorifero tutto ciò che non assomigliava a cibo commestibile; ho lavato il balcone diverse volte, fino a quando non ha assunto un nuovo colore al posto del suo grigio polvere; ho dipinto un cestino tristissimo di verde e di bianco. Ma, soprattutto, ho buttato cose.

E più buttavo e più mi sentivo meglio.

Mandavo quotidianamente messaggi alle coinquiline assenti per documentarle sulla mia opera titanica.

Sono arrivata a confessare ad una di loro: “Sai, ho scoperto che sistemare e pulire placa la mia ansia.”

La sua risposta è stata chiara: “A saperlo prima.”

Non aveva tutti i torti.

Avevo già notato l’effetto calmante delle pulizie su altre persone. Quando, qualche anno prima, abitavo a Garbatella con due miei amici, uno di loro, quando era arrabbiato, puliva il bagno. Si poteva capire il suo stato d’animo dallo scintillio del lavandino. Va anche detto che questa sua caratteristica era alla base della nostra sopravvivenza, perché sennò, lasciata a me e all’altra coinquilina, la casa avrebbe conosciuto un declino molto più rapido di quello a cui è andata incontro.

Io non pulivo. O, meglio, non pulivo molto spesso. E non bene. Mi convincevo che, in fondo, la casa non era davvero così sporca. Quando toglievo gli occhiali, non vedevo più la polvere. Facendo docce rapidissime non notavo lo sporco accumulato in ogni angolo della doccia. Passando poco tempo in cucina non mi accorgevo delle briciole che avanzavano sempre di più.

Non guardavo e speravo che lo sporco andasse via.

Che è una strategia che ho portato avanti per parecchio tempo. Poi, ad un certo punto, ha smesso di funzionare.

Un primo momento di passaggio è stata quella settimana di pulizia di fine agosto, ma non è bastata. Quando, dopo pochi mesi, sono andata a vivere con A., la mia attitudine a non vedere la polvere è tornata.

Il punto è che pulire mi sembrava un’attività enorme e terribile. Soprattutto lavare i pavimenti. Non so perché, ma è una cosa che detesto. Forse è proprio il concetto, l’idea di avere i piedi su qualcosa di bagnato.

Poi, a poco a poco, ho smesso di vedere la pulizia come qualcosa che mi avrebbe fatto cadere in un buco nero di tempo. La frase “devo pulire il bagno”, infatti, aveva il potere di annientare tutto quello che avevo intorno, di farmi sentire prigioniera di un’attività in cui avrei perso tempo, energia e, se non ero attenta, anche i miei contorni.

L’anno scorso, mentre eravamo in montagna, sono diventata un’assidua ascoltatrice di questo canale, come dico qui. Ho anche seguito le ricette per preparare alcuni prodotti per pulire, senza distruggere la casa o me stessa.

E ho recuperato i miei contorni. In alcuni di questi video, la tipa del canale youtube, Fairyland Cottage, fa una sorta di ode alla pulizia, come modo per prendersi cura della propria casa e di sé stessi. Però devo dire che è carina, perché ammette di non amare affatto fare le pulizie, e quindi si capisce che dice queste cose per convincere innanzitutto sé stessa.

A poco a poco, ho iniziato a notare dei cambiamenti nel mio rapporto con questa attività. Li ho visti nella casa nuova, notando la mia calma e la mia soddisfazione se mi metto a scrivere con il letto rifatto, il pavimento pulito e il rumore della lavatrice in sottofondo. In qualche modo, sembra tutto più facile. E, forse, un po’ lo è. A volte tante cose mi sembrano enormi e ingestibili, mentre pulire la casa è di gran lunga più facile. E, al contrario dei cambiamenti interiori, si vede.

Se pulisco lentamente, ascoltando qualcosa che mi piace, ha un potere calmante. In genere vado sempre di fretta perché ci metto sempre più del previsto, ma un po’ di potere calmante sembra resistere lo stesso.

L’aspetto di pulire fuori per pulire dentro, forse, ancora non lo maneggio bene. Spesso tendo ancora a concentrarmi troppo sul fuori, come se il punto fosse solo quello e non ci fosse alcun dentro. Ci sono dei limiti.

Lo scorso sabato mia sorella mi ha chiamato per sapere come fosse andata la terza dose di vaccino. “Adesso magari ti puoi riposare” ha detto. Io ho risposto: “Sì, sto pulendo per terra.” Lei mi ha fatto notare che forse non era esattamente uguale al riposo.

A. stamattina mi ha detto che secondo lui, nei giorni subito prima di un esame, dovrei evitare di pulire la casa. Io ho urlato: “Ti prego, non me lo impedire!”

La faccenda delle pulizie deve essermi sfuggita un po’ di mano.

 

 Photo by Nick Page on Unsplash


Commenti

Post più popolari