Il panico e l'età
Quando stavo per compiere sei anni ero molto contenta.
Ho proprio l’immagine ben precisa, uno di quei ricordi che
per qualche motivo restano attaccati in modo vivido. Sono al parco, sull’altalena,
il mio posto preferito, manca qualche giorno al mio compleanno. Aspetto con
trepidante attesa di compiere sei anni. Se mi concentro rivedo proprio questo
pensiero che volteggia nell’aria davanti all’altalena che va su e giù, di fronte
ad un grande albero e alle giostre.
Sei anni mi sembrava un’età giusta. Un’età bella. Un’età da bambina saggia, forse perché era l’età in cui sarei andata a scuola. Ero emozionata all’idea di compiere un anno in più.
Questo evento non si è mai più ripetuto.
Oggi, che è il mio compleanno, appena mi sono alzata A mi ha
fatto gli auguri. Io ho risposto in un modo misurato e ottimista: “Che schifo.”
A poco a poco l’entusiasmo per i miei sei anni si è trasformato.
È passato attraverso l’indifferenza per l’età, l’amore per i
regali e l’aspettativa della festa di compleanno delle scuole elementari.
Ha attraversato la rabbia dei miei quindici, sedici,
diciassette anni, il mio affermare “facciamo finta che sia un giorno normale”,
salvo poi aspettarmi grandi festeggiamenti e restare delusa.
Il mio orrore di fronte alle persone che mi chiedevano: “Che
bello, sei contenta di compiere diciotto anni?”. Il mio non sentirmi contenta
per niente e sentirmi anche profondamente ridicola, perché ero considerata dal
mondo un’adulta ma io non pensavo affatto di esserlo.
Una nuova fase di indifferenza per l’età e di amore per i
regali dai diciannove anni in su.
E poi di nuovo l’orrore. Il buco nero di quando ho compiuto
trent’anni.
Orrore che, tra l’altro, non è stato molto metabolizzato e vissuto
perché, da quando li ho compiuti, l’anno scorso, non ho praticamente visto più
nessuno. Non ho conosciuto nessuno, non ho quindi avuto occasioni per dire: “Ho
trent’anni” ed elaborare la cosa. Quindi
mi ritrovo ad avere una nuova età senza essermi abituata all’età di prima.
Dopo attente riflessioni, sono giunta alla conclusione che
il panico del compleanno si possa dividere in due sottogruppi.
Il primo è il panico legato all’età, appunto. Il compleanno
mi chiede: cosa hai fatto? Dove sei? Cosa hai raggiunto?
E lo so che le cose esteriori non contano, non importano i
raggiungimenti esterni, non sono i veri raggiungimenti. Lo so. Però un po’ di
raggiungimenti esteriori mi piacerebbero pure. Un po’ di belle etichette in cui
nascondermi a volte e dire: “Io sono questa etichetta.”
Il secondo sottogruppo è legato, chiaramente, all’aspettativa del compleanno. All’idea che tutto dovrebbe essere bello e perfetto. Idea che
si impossessa spesso delle mie giornate.
Idea destinata inevitabilmente a fallire.
Idea che è molto amica del panico.
A questo ho aggiunto il fatto che in questo periodo non mi
sento particolarmente entusiasta. Mi sembra che tutto sia storto, allora mi
concentro su come farlo diventare diritto, ma non funziona così. E alcune cose
non sono solo storte, alcune cose sono macigni che incombono e che sono troppo
grandi da affrontare con la mia testa.
Quindi ho iniziato ad abbandonarla un po’, la mia testa. A farle
capire che si sta un po’ sopravvalutando.
Qualche giorno fa ho iniziato a tenere un piccolo diario di
cose che noto. Lo avevo sentito tempo fa in una ted talk, in cui un tipo
raccontava di un compito che gli faceva fare ogni giorno un suo insegnate: scrivere
qualcosa che si era notato, o una cosa simile. E lui all’inizio lo odiava, ma
dopo un po’ si era accorto che, scrivendo le cose, le notava anche.
Posso scrivere qualunque cosa, ma c’è una regola da
rispettare: non devo notare cose che riguardano me. Non devo scrivere cose che si
riferiscano a come mi sento, a cosa provo, a come vivo un certo momento della
giornata.
Devono essere solo cose che stanno fuori. Cose che io
osservo. Fuori.
Il fuori sono le cose che faccio, tolte dal loro involucro che
dice “non vanno bene”. Il fuori sono le cose che noto e che stanno lì, senza di
me. Il fuori sono i regali delle persone, che negli anni ho sottovalutato. Ero
saggia da bambina a non sottovalutarli.
Il fuori è quando la mia testa smette di ritenersi così importante.
Il fuori è quando tutto quello che io vorrei fare nella mia giornata
è lamentarmi e invece scrivo. Leggo. Ascolto qualcosa. Scopro che le soluzioni
possono pure arrivare da cose che stanno fuori.
Il fuori è molto sottovalutato.
Ho deciso che oggi posso concentrarmi meno sui commenti
della mia testa e di più sui regali.
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