Il panico del compleanno
Quando avevo quindici anni ho iniziato ad odiare i miei compleanni.
Non so bene perché. O forse il perché è molto facile.
Il perché, come sempre, si trova nel panico.
Pensavo che dato che era il mio compleanno doveva andare
tutto benissimo ed essere bellissimo, dato che era il mio compleanno doveva
andare tutto benissimo ed essere bellissimo, dato che era il mio compleanno
doveva andare tutto benissimo ed essere bellissimo.
Un pensiero che non genera assolutamente il minimo panico.
Quindi mi sforzavo di far andare ogni cosa in modo perfetto.
E quindi iniziavo ad odiare ogni cosa.
Come ho scritto qui, anche
il compleanno è afflitto dal problema delle domeniche, che devono essere belle
per forza e poi diventano brutte. Solo che per i compleanni è ancora peggio. Perché
di domeniche alla fine ce ne sta sempre una alla settimana. Di compleanni no.
Quest’anno, quindi, spinta da mie amiche che mi dicevano: “è
un compleanno importante”; da mia madre che diceva: “è un compleanno importante”; da un tipo con cui ho parlato a buffo che diceva: “li compi e realizzi che sei
vecchio, ed è bellissimo” (non so in che modo questa sua affermazione avrebbe
dovuto tirarmi su); da A che diceva: “festeggiamo”
e dal mio panico che chiaramente diceva: “non perdiamo un’occasione per
angosciarci un pochino dietro alla ricerca infinita della perfezione”, ho
quindi deciso di fare tante cose.
Ho organizzato un aperitivo (facendo terrorismo psicologico
ai miei amici e invitandoli a non presentarsi con cose usa e getta). Ho scelto
un posto carino in cui andare con A a pranzo e una libreria carina in cui
andare dopo, per farmi regalare un libro. Ho deciso di andare a cena dai miei
la sera, con mia sorella che da Milano, sì Milano, tornava a Roma. Ho quindi
organizzato una cena con sorella e cugine il giorno dopo, e poi un pranzo con
zii e cugine la domenica.
Il mio panico mi ha detto: “Attenta attenta, che hai tante
cose da far andare in modo perfetto”.
Ma questa volta il mio panico non aveva previsto tutto.
Mia sorella è rimasta a Milano. La dentista dalla quale
doveva andare a Roma le ha gentilmente detto che non la faceva entrare nel suo
studio. Mia cugina medico le ha detto che lei è giovane ma zii e genitori mica
tanto, quindi era meglio se restava lì dove era.
Poi ad A è venuto un po’ di mal di gola. E quindi ha aspettato
un paio di giorni. E poi è andato dal medico che gli ha dato l’antibiotico. Ed era
ormai la sera prima del mio compleanno, che poi sarebbe a dire ieri sera, ma
era per rendere meglio l’idea. Quindi ho annullato tutti i vari festeggiamenti.
Sono stata per un pochino sconsolata, dicendo: “Certo, per
una volta che festeggio!” e intanto vedevo A che faceva l’aerosol e mi sentivo un po’ (tanto) in colpa.
Poi sono accadute due cose.
Uno, ho realizzato di aver neutralizzato il panico per le
cose perfette. Le cose erano tutt’altro che perfette e quindi il panico non c’era
più.
Due, mi sono ricordata uno dei miei mille propositi legati
al mio compleanno (ovviamente, oltre che
quelli per l’anno nuovo, ne ho anche
pensati un po’ per il compleanno nuovo. Così, tanto per non mettere alcuna
pressione) : imparare a stare senza programmi. Certo, il problema dei propositi
è che uno li propone, appunto, ma poi deve sempre ricordarsi che all’inizio,
quando vanno fatti succedere, sono faticosi.
Ma sempre meglio che il panico.
Quindi ho messo il vestito nuovo che avevo comprato usato
qualche giorno fa, ho creato mini programmi alternativi con qualche amica che
si è dispiaciuta e mi ha forzato a festeggiare a tutti i costi, ho creato un
programma alternativo con A confinato in casa e ho deciso di andare a comprarmi
trenta singole candeline per la torta che una mia amica ha preparato per me.
Il panico ha già iniziato a ripetermi che la farò cadere per
terra prima di mangiarla.
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