Il panico e il matrimonio parte 1 - Il distanziamento sociale
La principale occupazione di A in queste ultime due
settimane è stata sistemare e risistemare i tavoli e le sedie in giardino per
il ricevimento.
Per distanziarli.
Mi pare evidente che io ho iniziato a parlare del matrimonio
senza neanche introdurre l’argomento del matrimonio.
Questo perché non lo so introdurre.
Mi viene il panico.
Allora l’argomento va scomposto in tanti piccoli argomenti
più maneggevoli e limitati.
Uno di questi è: come si può conciliare il panico del
matrimonio con il panico dei contagi e del mantenere le distanze?
Tenendo conto anche del fatto che, seguendo il panico per il
pianeta, sarà un matrimonio zero waste.
O almeno che tenta di esserlo il più
possibile. Ma di questo parlerò la prossima settimana.
Per ora continuerò a parlare di A che sistema i tavoli nel
giardino. Questo suo sistemare i tavoli ha generato già consistenti litigi tra
noi. Principalmente perché a me di sistemare i tavoli non interessa poi molto.
Ma mi interessa far notare che come li ha sistemati A non va bene. È più forte
di me. Appena lui propone una nuova disposizione, io dico “no” per prima cosa.
Poi magari cambio idea. Solo che all’inizio devo dire sempre no.
Questo in realtà è un principio che io applico non solo ai
tavoli per il ricevimento del matrimonio, ma a svariati altri argomenti di più
frequente utilizzo. Lo faccio perché per me il cambiamento, bello o brutto che
sia, è comunque in partenza brutto, in quanto cambiamento. Ne parlo più approfonditamente qui.
A non ha questi problemi. A lui piacciono i cambiamenti. Sia
quando arrivano sotto forma di imprevisti, sia quando è lui a crearli. Quindi
lui continua a spostare tavoli e sedie. Non è tanto facile trovare una
disposizione che vada bene, perché vanno seguite diverse linee guida che
dovrebbero, in qualche modo, incastrarsi tra loro. Vediamone qualcuna..
Bisogna fare in modo che le persone non si accalchino troppo.
Quindi, oltre a invitarne poche, vanno fatti più buffet.
E vanno separati gli anziani dai più giovani.
Agli anziani bisogna dare un posto a sedere, perché pare
brutto far vagare per il giardino in cerca di posto la nonna di A che ha 90
anni.
Ma non si può dare a tutti un posto a sedere, perché non si
ha idea di come sistemare gli amici (chi può stare vicino a chi?)
Se si sistemano gli adulti seduti, però, vanno messi accanto
a persone con le quali si trovano tranquilli a stare seduti.
E non si possono mettere nelle zone di passaggio verso il
buffet.
E non si possono mettere tavoli al
sole.. anche se questo effettivamente sarebbe un modo per accorciare la durata
del pranzo.
E, inoltre i tavoli coperti da ombrellone sono più caldi di
quelli coperti dalla pergola o dagli alberi, perciò i tavoli fissi non vanno
messi sotto agli ombrelloni.
Quindi A continua a spostare tavoli e sedie alla ricerca di
un incastro soddisfacente.
Io, dopo vari litigi,
ho adottato una nuova modalità: non guardo quello che fa, così non mi viene
l’impulso di criticare. L’impulso di criticare nasce dal mio panico per il
cambiamento. Se non vedo che il giardino intorno a me cambia continuamente ma
guardo solo il mio libro, il panico non arriva così spesso e io critico lo
stesso, ma un po’ meno.
Nelle pause tra uno spostamento e l’altro, ci sono altri
interrogativi sui quali concentrarsi rispetto alle misure di distanziamento:
Quanto gel di amuchina serve? Come faccio a far capire alle
persone che devono usarlo prima di servirsi al buffet evitando di passare
l’intero ricevimento a controllare? Se i confetti sono in una ciotola con un
cucchiaio per prenderli, tutti useranno lo stesso cucchiaio, come si fa? Come
si prendono i lupini che andrebbero presi con le mani? Se la gente balla, qual
è una distanza accettabile per ballare? Se metto il cibo sul buffet e parlando
o ridendo a qualcuno scappa uno sputo sul piatto da portata? Sempre senza
considerare l’eventualità che qualcuno starnutisca fuori dal gomito.
Anche questi punti, così come la sistemazione dei tavoli,
sono portati avanti principalmente da A. Io alterno i miei soliti “no” al mio
dire “fai come vuoi”, salvo poi ripensarci e dire no. Poi incolpo l’ipocondria
di A. Quindi lui mi incolpa per incolpare la sua ipocondria e non essere
abbastanza attenta.
Allora io decido che è tutto troppo complicato da
organizzare. E decido di buttarmi sul panico opposto, ovvero: e se alla
cerimonia, pure che è all’aperto, ci obbligano a mettere la mascherina? Orrendo.
Io la mascherina non la voglio mettere, non sta bene con il vestito.
Ho fatto presente questo ultimo punto a mio padre, che mi ha
risposto così: “Il 15 luglio riaprono le discoteche all’aperto, quindi senza
mascherina. Alla peggio, diremo che siamo una discoteca.”
Commenti
Posta un commento