Al panico piace seguire le istruzioni



Quando ero piccola se le cose non erano perfette mi arrabbiavo. Non saprei descrivere di che tipo di perfetto dovessero essere. Il tipo di perfetto che avevo deciso io.

Era come se nella mia testa facessi una mappa della giornata o delle ore di fronte a me, immaginandole un po’ come si vedono in un libro, colorate, precise nei dettagli e confuse sui collegamenti tra i dettagli, con tantissimo suono o con pochissimo suono, a seconda dei pezzi.

Perfetto doveva essere anche come mi sentivo: quello che provavo in una determinata situazione doveva essere quello che avevo deciso che andasse provato in quella situazione. Pensiero, questo, che non porta chiaramente alcuna aspettativa con sé, e nessuna prospettiva di panico.

Avrei voluto avere un bel manuale di istruzioni che mi dicesse cosa dovevo provare in ogni preciso momento. Così, tutto quello che avrei dovuto fare sarebbe stato seguire le istruzioni.

Le istruzioni non lasciano molto spazio per le scelte. Non lasciano molto spazio per il panico.

A me le istruzioni piacciono molto. Vanno solo seguite.

Quando ero piccola e avevo delle giornate con tanto tempo davanti a me, senza la scuola o altre cose, iniziavo a fare liste di come sarebbero dovute andare, per paura che sfuggissero al mio controllo e andassero male.

Io e il mio panico abbiamo un po’ di problemi con il controllo.

E più liste facevo e più le cose non venivano in modo perfetto. Semplicemente perché quel perfetto delle liste non esiste.

In realtà anche adesso mi arrabbio quando le cose non sono perfette.

Allora, queste cose che non possono essere perfette, invece di farle diventare un po’ meno perfette, scelgo di farle essere totalmente sbagliate. Mi sembra il loro giusto destino per non essere perfette. 
Mi impegno proprio, a farle diventare bruttissime. Così almeno acquistano una nuova identità, più definita. Solo che poi non va tanto bene. Perché non mi rassegno al fatto che potevano essere perfette. E mi dispiace.

Quindi io e il mio panico ci crogioliamo in queste cose che da perfette sono diventate bruttissime e spesso capita che gli altri ci guardino con un po’ di sospetto.

Non capiscono perché non possiamo abbandonare le cose che avevamo deciso e trovarne delle altre. 
Forse il punto è che il mio panico non è tanto bravo a cambiare idea e a modificare i suoi piani.

Invece, A cambia sempre piani, anche senza rendersi conto di starli cambiando. E io mi ostino a ripetere il piano vecchio. Quello nuovo non lo voglio seguire. Non mi interessa se sia migliore o peggiore, il problema è che è nuovo.

Sto provando ad attuare un’altra strategia. Quando arriva un nuovo piano, io faccio così: non lo accetto né lo rifiuto. Lo lascio stare lì, sospeso. Ad un certo, punto, facendo passare il tempo, il piano nuovo non è più così tanto nuovo. Il piano nuovo diventa vecchio, e allora lo posso accettare.

Ho anche iniziato ad avere un po’ di timore per le cose perfette. Ho provato a non immaginare cose perfette all’orizzonte. A scrivere liste ma con dei buchi dentro.

Soprattutto, ho provato a non immaginare che emozione dovrei provare in determinati momenti, quale sarebbe la sensazione perfetta per quel momento lì. L’unica e la sola. Non è molto semplice. Se non so cosa provare, spesso mi sento sperduta. Se non so cosa provare, spesso provo il panico. È l’emozione più facile e disponibile.

Ma a volte riesco a restare con la sensazione di non sapere cosa provare. Resto a brancolare in un vuoto vago. Ma se riesco a starci, non è poi così male e c’è spazio per altro.

Come il mal di pancia.

Ho capito che spesso quando provo delle cose e non so cosa sono mi viene il mal di pancia. Non è così male in realtà. Per prima cosa, è abbastanza facile da far passare. Per seconda cosa, è meno invasivo del panico.

E poi dà anche un po’ di sollievo, perché non richiede troppe interpretazioni.

Il mal di pancia è molto chiaro.


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