Tanto sole, tanto panico



Il sole è una cosa bella. A me il sole piace. Mi piace quando mi sveglio e c’è il sole. Quando c’è la pioggia no. Poi mi urto perché non vorrei essere influenzata da una cosa futile e labile come il tempo, ma lo sono. Il  mio panico ha molto  da fare nei giorni di pioggia.

Il mio panico ha compreso questo grande dramma della mancanza di sole quando per un anno ho vissuto a Londra. E ho capito perché gli inglesi sono ossessionati dal tempo. Lo sono diventata anche io. Appena dalla finestra della mia stanza vedevo che c’era qualcosa di simile al sole, qualcosa di non grigio, io prendevo qualunque cosa stessi facendo e la trasportavo con me al parco più vicino. Libri, quaderni, computer, penne e matite, acqua e scorte infinite di cibo, per non aver alcun motivo per dover andare via. E appena arrivavo al parco, trafelata, scoprivo che gli inglesi avevano fatto più presto di me ed erano già ad arrostire carne sul barbecue.

Gli inglesi sono ossessionati dal tempo ma sono soprattutto ossessionati dal sole. Un giorno è venuto un ospite a parlare alla mia classe all’università. Ci ha a lungo ringraziato di essere lì. Era un giorno di sole. Era stupito di trovarci tutti in classe. Ci ha detto che gli dispiaceva farci stare al chiuso visto che fuori c’era il sole. Forse sperava di non trovarci e andarsene al sole pure lui.

L’ossessione degli inglesi per il sole non è solo rivolta ad amare il sole incondizionatamente. Che voglio dire, potrebbero pure provarci, visto che lo vedono così poco. Loro vogliono il sole, ma se poi è troppo si urtano. Anche se non è troppo, in realtà, ma è soltanto sole tiepido e piacevole. Una mattina di novembre, a lezione, credo la prima lezione con il sole dall’inizio dell’anno, il professore ha iniziato a mostrare cenni di evidente fastidio. Ha tolto la giacca, ha tolto il golf. È rimasto in camicia. Ha rimboccato le maniche della camicia. Poi ha aperto la finestra. Tutti hanno tirato un sospiro di sollievo. Anche il ragazzo accanto a me: “Per fortuna, stavo morendo di caldo. Lo sapevo che dovevo mettermi i pantaloni corti, fa troppo caldo”.

Quando sono tornata a Roma ho smesso di essere ossessionata dal sole. I primi giorni lo ero ancora, in realtà. Mi svegliavo, vedevo il sole e mi buttavo fuori di casa, anche se non avevo nulla da fare. Sono tornata a Roma che era luglio, quindi ogni giorno, per le prime settimane, io uscivo di casa solo per vedere il sole. Poi ho smesso. E mi sono ricordata una cosa importante del mio rapporto con il sole: ovvero che a me lui piace ma che io a lui non piaccio tanto. È un po’ una relazione a senso unico, di quelle in cui tu ti spendi tanto e l’altro, invece, fa un po’ quello che gli pare.

È una relazione un po’ complicata. Perché sì, mi piace stare al sole, ma quando sto al sole mi viene il panico di bruciarmi. E non è neanche un panico immotivato, perché mi brucio davvero.

L’anno scorso io e A siamo andati al mare in Sicilia per dieci giorni. Il primo giorno siamo andati a fare una passeggiata a metà mattina per arrivare ad una spiaggia. Lungo la strada del ritorno si poteva osservare A che camminava accanto ad un asciugamano da cui uscivano dei sandali e con in testa un cappello: io.

Il mare è una grande fonte di panico per me. Non è che al mare ci sia più sole che da altre parti. Ma al mare c’è la sabbia. E la sabbia e la crema solare non vanno d’accordo. Provocano una sensazione di indimenticabile fastidio, quella della pelle unta di crema che viene ricoperta di simpatici granellini di sabbia, come una cotoletta. I primi giorni di mare, o meglio, le prime ore, provo a rendermi immune, provo a non toccare la sabbia, sto  seduta sotto all’ombrellone a leggere e sto quasi in piedi per quanto mi siedo dritta. Ma dopo qualche ora ci rinuncio. Abbraccio la sabbia. Me ne ricopro. La dimentico. Salvo poi ricordarmelo grazie agli altri che mi dicono, con noncuranza: sei piena di sabbia. Levatela. Levatela? La sabbia non se ne va. La crema e la sabbia non si staccano. Per non parlare di quando devo rimettere la crema (perché chiaramente sarei un’illusa se pensassi di poterla mettere una volta sola) e ho ancora la sabbia precedente attaccata. E quindi è una gioia infinita strofinare la crema sulla pelle già piena di granellini, con tutti i granellini  che si strofinano insieme.

In genere dopo un  po’ perdo la pazienza e vado a casa. Anche lì, se sono in giardino, devo mettere la crema. Pure per andare a fare la spesa, perché quei cinque minuti di sole del tragitto potrebbero essere fatali. Io devo mettere sempre e ovunque la crema. Da aprile. Ovunque io sia. Ho anche messo la crema durante la quarantena, come scrivo qui.

Io devo mettere la crema anche quando non c’è il sole. Un giorno, avrò avuto dieci anni, andavo a un centro estivo a Villa Ada e mia madre decise che potevo anche non mettere la crema. Era nuvolo, il cielo era totalmente grigio, minacciava pioggia. Il giorno dopo ero del tutto bruciata.

È chiaro quindi che la relazione tra me e il sole è una relazione che non va tanto bene. A me e al mio panico piacerebbe proprio tanto che questa relazione andasse meglio. Alla fine, il sole ci mette tanta allegria. Sarebbe bello se lui ricambiasse almeno un po’.  

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