Diario del panico in quarantena 9 - Lo stress



L’altro giorno una mia amica mi ha mandato un articolo del New York Times che diceva che è normale essere in ansia in momenti stressanti come questo, e raccontava esempi di chi entrava dentro la doccia con gli occhiali sul naso e chi metteva il latte in polvere dei bambini nella macchinetta del caffè. Io e un’altra mia amica ci siamo dette che entrare sotto la doccia con i gli occhiali sono cose alle quali siamo abituate in tempi normali.

Secondo quest’articolo, la disattenzione e l’ansia in quarantena sono i segni che il nostro cervello funziona bene. Ho colto subito l’occasione per parlarne ad A, che però mi ha gentilmente risposto che io sono sempre disattenta, quindi non c’è molta differenza.

Io perdo sempre qualunque tipo di cosa, come dico qui. Per non perdere l’allenamento, ho continuato a perdere cose anche dentro casa. Qualche giorno fa ho pensato bene di perdere gli occhiali per un intero giorno, per trovarli poi la sera tra il letto e il comodino, e di perdere un libro di poesie di Hikmet per addirittura una settimana (era finito dietro al divano). Quest’ultimo è stato cercato da me assiduamente per casa, mentre ripetevo cose come “ma è assurdo” per un’infinità di volte di seguito, e A si è sentito in dovere di aggiungere: “ È più assurdo che continui a dire che è assurdo”.

Sto continuando a bruciare pranzo e cena, di tanto in tanto. Sto continuando a scrivere gli appunti su dei fogli contorti e a perdere poi i fogli. Sul fronte disattenzione, credo, la quarantena non ha cambiato molto la situazione. La mia disattenzione era già abbastanza per conto suo.

Sul fronte panico, invece, non è così semplice. Io credevo di averne abbastanza, anche di panico. Ma a quanto pare non c’è limite alla crescita esponenziale del panico.

Nell’ultima settimana sono entrata nel panico per motivi seri e profondi come non capire come usare Zoom per una lezione, non riuscire a scaricare esattamente le immagini di animali che volevo io per una lezione, realizzare che c’era troppo sole per stare in balcone e che quindi ci sarei dovuta andare prima, A che mi ha chiuso delle schede sul mio pc (ho una sorta di ossessione a tenere aperte decine di schede, ma credo di star per risolvere la cosa, perché sennò il mio pc si pianta nel bel mezzo di una lezione, e quello mi getta ancora più nel panico).

Tutti motivi, come si può vedere, di importanza notevole.

Mi sono anche arrabbiata con il mio panico, perché insomma, mi è sembrato un po’ esagerato.

Poi, però, tornando all’articolo del New York Times, ho pensato che il mio panico che entrava in tilt per le immagini degli animali era un po’ come chi faceva il caffè con il latte in polvere.

Quindi ho iniziato a non arrabbiarmi con lui. Ho iniziato a fare finta che non ci fosse. O, al massimo, ho iniziato a fermarmi e a dire: ora ho il panico. E così, non potendomi cogliere di sorpresa, lui in realtà resta tranquillo in un angolo.

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