L'unica ragione per leggere è leggere




Domenica io, mia madre e mia sorella siamo andate a vedere Piccole Donne in una sala strapiena in cui credo di aver contato tre uomini, ma potrebbero anche essere solo due. “Dei superstiti” ha sentenziato mia madre alla fine del film.

Mia madre si è seduta in mezzo, tra me e mia sorella, e di tanto in tanto faceva gli stessi commenti all’orecchio di una e dell’altra. 

Principalmente che non le piaceva  come era stata resa la madre (cosa che a me ha detto due volte), perché era “troppo americana” (commento di interpretazione alquanto oscura, visto che la storia si svolge in Connecticut durante la guerra di secessione) e che non le piaceva Amy perché “è troppo grossa” (intendendo dire che era troppo adulta per il personaggio, cosa sulla quale sia io che mia sorella le abbiamo dato ragione). Per il resto, di tanto in tanto si girava verso di me e sussurrava “ah, adesso è la scena dei pattini in cui Amy cade” oppure “ah, adesso regalano il pianoforte a Beth” (da un certo punto in poi ha continuato a parlare solo con me perché mia sorella l’ha zittita).

Quando siamo uscite abbiamo chiaramente iniziato a parlare dei dettagli che secondo noi andavano bene e di quelli che invece non ci convincevano tanto, ma principalmente eravamo positive. Poi abbiamo iniziato a fare un’analisi comparata di questa versione con quella precedente (qui mia madre si è chiamata fuori, perché non ricordava neanche un singolo personaggio della versione precedente). Mia sorella si è ricordata di quando tantissimi anni fa eravamo ad Amsterdam e lei stava leggendo Piccoli Uomini, io mi sono ricordata di quando mia madre tornava dal lavoro portandomi i vari volumi di Piccole Donne che prendeva in prestito in biblioteca.

Quando sono tornata a casa, mi sono buttata nel tentativo alquanto fallimentare di spiegare ad A la trama di Piccole Donne. Non credo che abbia capito molto al di là che ci sono quattro sorelle, che è bellissimo, che una vuole fare la scrittrice ed è un maschiaccio, che è bellissimo, che fanno amicizia con il ragazzo nella casa di fronte, che è bellissimo, che ad un certo punto una muore, che è bellissimo. Non credo sia stato un grande riassunto. Il punto è che, se qualcuno non ne sa nulla, come si fa a spiegare? I dettagli non rendono tutto l’insieme.

Quindi, spinta dalla nostalgia (perché il punto di Piccole Donne non è solo Piccole Donne, ma la nostalgia di tutto quello che porta con sé) ho ricominciato a pensare, tanto per iniziare con gioia la settimana, a tutti i libri che ho letto da piccola, a tutti quelli che ho riletto, a tutti i momenti in cui li ho letti, dove ero, che pensavo, che facevo. 

A quando ho letto Heidi sul mio letto, quando ancora avevamo i letti a castello, sdraiata in una giornata di inizio vacanze in cui faceva troppo caldo e c’era troppo vuoto. Che l’edizione che avevo di Heidi era uguale a quella di Tom Sawyer, con tutte immagini e didascalie a lato e io mi ero intestardita che le dovevo leggere tutte, dalla prima all’ultima. A quando, sulle scalette dello stesso letto a castello, ho scoperto che Sirius Black moriva e ho chiuso Harry Potter n.5 in preda al panico. Pollyanna e il fallimentare tentativo di applicare la sua regola per vedere tutto in modo positivo, e la frustrazione per non essere riuscita a metterla in atto neanche per un giorno. La rabbia cieca vedendo quello che combinava la maestra di Ascolta il mio Cuore, il mio tentativo di spiegare l’intero intreccio narrativo di Tornatràs ad un pranzo al mare con i miei parenti, che mi hanno iniziato ad odiare.

Mi sono ricordata di come i libri che leggevo da piccola davano forma alla mia realtà, a come la mia realtà fosse una versione un po’ più sbiadita della realtà vista nei libri. Quella dei libri era quella vera, con i colori troppo accesi che facevano socchiudere gli occhi.

E poi ho iniziato a pensare ai molti meno libri che leggo adesso.

E al fatto che spesso i libri che leggo adesso devono avere un qualche senso, devo legittimarli a me stessa in qualche modo. Devono avere una specie di sottotitolo che dice: sono utili, sono importanti, vanno letti. E soprattutto: possono servire per delle cose che devo scrivere. Ma questa cosa di aggiungere commenti ai libri non mi piace tanto. Credo che sia un po’ denigratorio. Credo che sia un modo per renderli piccoli, dovendo cercare delle cose grandi che li rendano grandi. Leggere un libro non dovrebbe avere altra legittimazione che il fatto stesso che si legge quel libro.

L’utilità si può misurare solo in stordimento, in quello stordimento che si prova quando si alzano gli occhi dalle pagine, dopo aver letto per molto tempo, e all’inizio non ci si ricorda dove si è, che ore sono, cosa si dovrebbe fare, se è accaduto qualcosa nel mondo vero, quale è poi questo mondo vero, non c’è niente di fondamentale nel mondo vero, posso permettermi di perderlo per un po’ e continuare a leggere.

Ho preso la mia lista di propositi per l’anno nuovo, che è scritta qui e che in realtà è più che altro una lista mentale di cose che dimentico di fare, e ho aggiunto: leggere molti più libri e senza trovare un motivo prima.

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