Il panico crede a tutto (ma non alla Befana)

 


Quando era piccola e abitava a Parigi, mia madre provava a spiegare ai suoi compagni di scuola chi era la Befana.

Questi bambini francesi, però, a quanto pare erano un po’ perplessi, a tratti spaventati, al pensiero che ci fosse una brutta vecchietta che si intrufolava in casa loro e non solo dispensava dolciumi, ma anche carbone.

Anche mia madre ne era terrorizzata, così come era terrorizzata dal corridoio della sua casa, lungo, lungo, da attraversare per andare a prendere la calza. Però le piaceva ricevere tutte quelle cose. “E mi portava pochissimo carbone, perché ero molto brava.”

Anche mia sorella e io per prendere le calze dovevamo percorrere il corridoio di casa nostra in tutta la sua lunghezza, dalla nostra camera alla porta di casa, all’estremità opposta. Lì, appese alla maniglia, ci aspettavano delle enormi calze rigonfie di cose e, spesso, anche un pacchetto poggiato sul pavimento, troppo grande per entrare dentro. Spesso, alla vista di tutti quei regali, mio padre ci regalava il solito commento: “Ve l’ho mai detto che io ricevevo un solo regalo quando ero piccolo?!” Ma io e mia sorella non eravamo particolarmente impressionate da questo ricordo, che ci sembrava appartenere a un tempo buio e lontanissimo.

Spesso, la mattina, appena mi alzavo, sbirciavo il corridoio dalla porta della stanza per accertarmi che le calze fossero al loro posto. Non era semplice, perché tutti ancora dormivano e il corridoio era avvolto nella penombra. Io mi svegliavo sempre prima di tutti e mia sorella si svegliava sempre più tardi di tutti, e così la mattina del 6 gennaio dovevo sopportare un’attesa infinita per andare insieme a prendere le calze.

Dentro, oltre a dolcetti e regalini, qualche anno avevamo trovato anche un po’ di carbone. Ma non era il carbone vero, come quello di mia madre, che veniva preso dalla stufa che avevano in casa, ma un carbone finto, fatto di zucchero, che era anche buono. Qualche volta avevamo tirato fuori dalla calza anche delle patate o delle cipolle. Erano avvolte nella carta, come le altre cose, e sembravano dei dolci belli grossi. Ci restavamo deluse quando, invece, dentro c’era una cipolla.

Mi sa che un anno mia sorella aveva ricevuto una cipolla in più di me, e io ero stata molto felice. A quanto pare, la Befana era riuscita a capire come stavano le cose dentro casa, con la sua magia aveva guardato sotto la faccia da bambina cicciotta e dolcissima che mia sorella sfoderava in ogni occasione e aveva visto che celava denti aguzzi e piani diabolici per una bambina della sua età.

Quando ho smesso di credere a Babbo Natale ho smesso anche di credere alla Befana, perché faceva parte dell’intero pacchetto. Ma avrei voluto continuare a crederci. Io, in realtà avrei voluto credere a tutto. In un certo senso, per molto tempo, ho continuato a credere a tante cose. A eccezione di Babbo Natale e della Befana, credevo un po’ a tutto quello che gli altri mi dicevano.

Per la mia incapacità a dire le bugie non riuscivo a concepire il fatto che alcune persone potessero dirle. Ma non solo loro, anche i libri o i film. Tutto quello che sentivo, secondo me, doveva essere vero per forza. Più che altro, non riuscivo a capire quando qualcuno stava scherzando o quando, invece, faceva sul serio. Questa cosa è durata parecchio e a volte mi ha anche portato a fare delle figuracce.

In quarta o quinta elementare, per esempio, ho smesso di mangiare le liquirizie perché avevo letto nel libro Boy di Roald Dahl che erano fatte con sangue di topo. Io ci avevo subito creduto, e quando vedevo un mio compagno di classe infilare in bocca una goleador, ignaro di tutto, gli facevo notare il pericolo a cui andava incontro.

Ma i miei compagni di classe non parevano particolarmente spaventati.

Qualche anno dopo, alle medie, un altro compagno di classe mi aveva comunicato che era morto uno dei protagonisti del telefilm Dawsons’ Creek. In quel caso, però, non ero stata l’unica ad abboccare, perché ci aveva creduto pure la mia compagna di banco. Non ci era venuto in mente che potesse prenderci in giro e, in un mondo in cui internet veniva usato molto poco, non avevamo molti mezzi per controllare. Io ci ero proprio cascata con tutte le scarpe e ricordo di aver visto l’ultima puntata del telefilm con le lacrime agli occhi, al pensiero che l’attore era morto.

Solo qualche anno dopo lo avevo visto in un altro film e avevo capito di essere stata fregata.

Non so perché io credessi a tutto, ma mi sembrava che, se le persone dicevano una cosa, questa dovesse per forza essere vera.

Mi capita ancora adesso, anche se sono un po’ migliorata. Ma a volte vedo come si riaffaccia la mia attitudine a credere a tutto, anche a cose che sono palesemente finte.

Mi piacerebbe, però, credere ancora alla Befana, perché mi piacerebbe provare ancora quella fiducia nei confronti di una vecchina brutta e sconosciuta che, però, ha il potere di decidere se io sono stata brava oppure no. Una volta ricevuto il suo giudizio, infatti, potevo stare tranquilla e serena. Se lo diceva lei, doveva essere così. Ero davvero una bambina gentile e generosa.

E il suo giudizio arrivava sotto forma di caramelle e cioccolato, cosa che non guastava.

 

Foto di Aron L su Unsplash

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