Scandire il tempo
Qui in montagna, dalle otto di mattina alle dieci di sera, i
rintocchi dell’orologio del paese scandiscono il tempo. Suonano allo scoccare
delle nuove ore e delle mezz’ore.
L’anno scorso, quando abitavamo qui, questi rintocchi erano
molto comodi, perché mi segnalavano il momento in cui dovevo sedermi al mio
tavolo e iniziare le lezioni a distanza. I rintocchi, inoltre, suonano sempre
un minuto prima, e mi aiutavano a non fare tardi. Erano comodi soprattutto
quelli delle mezz’ore, perché molte delle lezioni con i bambini erano in corrispondenza
di qualche mezz’ora.
Quando siamo tornati a Roma ci ho messo un po’ di tempo ad
abituarmi all’assenza dei rintocchi, mi aspettavo di sentirli sempre. Anche adesso,
quando passo tanto tempo in montagna, una volta a Roma trovo difficile abituarmi
all’assenza dei rintocchi.
Ma un po’ di giorni fa, tornata in montagna dopo essere
stata via per una settimana, ho iniziato a notare qualcosa di strano. Mi sono
messa a leggere, dicendomi che avrei smesso allo scoccare della mezz’ora, ma mi
sono accorta di non averla sentita. “Dovevo essere davvero immersa nella
lettura” ho pensato con soddisfazione. La stessa cosa si è ripetuta qualche ora
dopo, mentre stavo scrivendo. Non ho sentito lo scoccare della mezz’ora, ma
sono stata molto fiera della mia capacità di concentrazione. Ero così determinata
e assorta da isolarmi da tutto il resto.
Il giorno dopo, però, ho dovuto fare una lezione, una delle
poche rimaste ora che i bambini sono in vacanza. Erano quasi le 17.30 e mi
aggiravo nei pressi del computer, pronta a sedermi e ad avviare la riunione su
zoom allo scoccare della campana. Ho aspettato e aspettato, poi mi è venuto il
dubbio che fosse troppo tardi. In questi anni di lezioni da casa, infatti, sono
diventata esperta nella percezione dei minuti, nella percezione di quanto sembrano
lunghi quelli prima di una lezione. Ho guardato il computer e ho scoperto con
orrore che erano le 17.31. I rintocchi non c’erano stati, questa volta ne ero
sicura.
La campana delle mezz’ore non suona più.
È così da qualche giorno, ma ancora non riesco ad abituarmi.
L’ho detto ad A., che non se ne era accorto, e lui ha commentato: “Si saranno
lamentati quelli che abitano accanto alla campana.” Io, però, non condivido
pienamente questa spiegazione. Voglio dire, i rintocchi più fastidiosi dovrebbero
essere il primo la mattina e l’ultimo la sera, e quelli sono alle 8 e alle 22, e
non si tratta di mezz’ore. E poi, se proprio fossero stati fastidiosi, avrebbero
potuto sempre spostarli un po’ in avanti, farli iniziare alle 9 di mattina e
farli terminare alle 21, per esempio. Forse, però, a queste persone che abitano
vicino alla campana sono i rintocchi troppo numerosi a dare fastidio, e hanno
pensato di lasciare solo quelli principali e di togliere quelli superflui.
Solo che, in questo modo, a me pare che si sia perso il
senso dei rintocchi. Se servono per scandire il tempo, per dare un’indicazione
costante di che ore sono, se si tolgono le mezz’ore non servono più. Anzi, mi
urta un po’ il loro suonare a ogni ora, mi sembra inutile.
A Tuscania, dove la mia famiglia ha una casa, le campane suonano
ogni quarto d’ora. Io lo trovo meraviglioso. Fino a qualche anno fa, inoltre, i
rintocchi non si fermavano mai, neanche di notte. Secondo me era bellissimo. Di
diverso parere era mio padre, che la notte, quando si svegliava e non riusciva
più a riaddormentarsi, veniva informato dai rintocchi diligenti dell’orologio
che un altro quarto d’ora era passato. “E quando suonava la mezzanotte e tre
quarti era un po’ faticoso” ha sentenziato mio zio.
Capisco queste opinioni, ma non le condivido. Io trovo i
rintocchi degli orologi molto rassicuranti. Mi piace quest’idea del tempo misurato
da fuori, da qualcosa di esterno. Mi fa sentire in un tempo comune con gli
altri.
E poi, mi piace perché io controllo sempre l’ora. Adesso, dopo
anni di allenamento, so quasi sempre quanto tempo è passato, quanti minuti ho
prima dell’inizio di una lezione, da quanto tempo sono seduta a studiare. L’unico
momento in cui perdo un po’ la cognizione del tempo è quando scrivo, ma non sempre.
A., invece, non sa mai che ora è, me la chiede continuamente
e si stupisce sempre della mia risposta. Può essere convinto che sia l’ora di
pranzo quando, invece, sono le dieci. Oppure può stupirsi di sentirsi molto
stanco, alle otto di sera, per poi scoprire che sono le dieci. Un po’ invidio
questo suo rapporto vago con il tempo.
Quando perdo l’orologio o si rompe il cinturino e devo
aspettare di averne uno nuovo, passo le giornate a guardare a intervalli
regolari il mio polso vuoto. A volte controllo l’ora sul cellulare, ma mi
infastidisce e non lo faccio quasi mai. Dopo qualche giorno mi abituo a questo
tempo largo e disteso, impreciso. A un tempo che non si misura con i minuti ma
con la stanchezza e la fame (tranne se ho degli impegni precisi, ovviamente).
Appena recupero l’orologio, lo infilo di nuovo. Il tempo
torna preciso e non riesco a scrollarmelo di dosso.
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