Stare dentro a un seguito
“Qual è la differenza tra I promessi sposi e una soap
opera?” ha esordito un giorno in classe il mio professore di italiano del liceo.
Aveva una passione per queste domande provocatorie, alle quali si aspettava,
però, delle risposte sensate. Dietro alla sua esagerazione c’era un
ragionamento e, secondo lui, noi avremmo potuto scoprirlo e riuscire a
rispondere.
Io non ci provavo mai. Se già mi tremava la voce alle
normali interrogazioni, queste domande mi gettavano nel panico più totale. Non
dicevo nulla e speravo che qualcun altro rispondesse. Qualcuno si lanciava, ma erano
rare le volte in cui si riuscisse a indovinare.
La differenza tra I promessi sposi e una soap opera è
che nel primo non si dice cosa accade dopo che gli eventi principali sono avvenuti.
Arrivato a una conclusione, Manzoni si ferma, senza raccontare all’infinito
cosa accadrà ai protagonisti. Il contrario, appunto, di una soap opera. La
narrazione de I promessi sposi si ferma al momento giusto, quella della
soap opera no.
Si potrebbe ribattere che ci sono infinite differenze tra i
due, chiaramente. Ed è questo il motivo per cui nessuno riusciva mai a rispondere
per bene a queste domande.
Ma questa cosa del seguito a me era rimasta impressa. Perché
io, invece, volevo sempre sapere “che cosa succede dopo”. Quando, da piccola, mia
madre leggeva una fiaba a me e a mia sorella prima di andare a dormire, io
chiedevo come continuava. Quanti figli avevano il principe e la principessa dopo
che si erano sposati? Maschi o femmine? Come si chiamavano? E mia madre, che
riusciva a malapena a restare sveglia per leggere la storia, doveva continuare
a inventarsi nuovi dettagli. (A dir la verità, a volte non riusciva ad arrivare
sveglia neanche fino alla fine della storia vera e propria, iniziava a dire
parole senza senso nel suo dormiveglia e io, dalla cima del letto a castello,
la rimproveravo.)
Non so perché mi interessasse tanto sapere che cosa
succedeva dopo, forse era per paura di uscire da una storia, scoprire che era
finita e basta. Ancora adesso, quando vedo un film, anche se mi accorgo che c’è
un finale scritto benissimo, ma che non mi dice tutto quello che io vorrei
sapere, una parte di me spera che il film continui ancora per un po’, diventando
più brutto e con un finale peggiore, ma senza lasciarmi con questo finale
bellissimo che non mi rivela nulla sul seguito della storia.
Qualche settimana fa questa idea del seguito è arrivata
nella vita reale.
Mi è venuta in mente mentre attraversavo la strada davanti casa
dei miei genitori. È una strada che ho attraversato migliaia di volte, a diverse
ore del giorno e della notte. Ma in quel tardo pomeriggio di qualche settimana fa
ho pensato: “Sono dentro a un seguito”.
Non so cosa è stato a farmelo pensare, forse proprio il
fatto di trovarmi in quel punto molto conosciuto, di sera. Ho ricordato tante
altre sere in cui attraversavo quella strada e poi la piazza, magari quando
abitavo lì. E attraversarla in quel momento mi è sembrato un seguito sbiadito di
quando la attraversavo prima. Come se la vera storia, il fulcro della narrazione,
fosse già avvenuto, e io mi trovassi nel “cosa accade dopo”, in cui i
protagonisti si muovono negli stessi spazi di prima, ma hanno già ucciso il
drago e salvato la principessa in pericolo e tutte quelle cose lì.
A me sembrava la stessa cosa. Forse era perché non mi trovavo
in un posto nuovo, in un posto senza un passato tutto suo, ma nel posto in cui
sono sempre stata da piccola; ma quell’azione di attraversare la strada in quel
punto lì mi è sembrata come una ripetizione di tanti altri attraversamenti in
tanti altri momenti diversi. Come se il mio trovarmi lì ad attraversare evocasse
tanti altri momenti in cui sono passata lì, e quelli lì fossero quelli “veri”,
quelli che appartengono alla storia vera e propria. Correre per la piazza sotto
la pioggia con mia sorella e la baby-sitter, al ritorno da scuola, perché abbiamo
scordato l’ombrello; sbirciare la vetrina dell’edicola dall’altra parte della
strada per vedere se è arrivata una rivista di cinema; attraversare la strada
di fretta perché sono in ritardo per andare a scuola; incontrare la mia amica
Irene sotto casa, di prima mattina, e andare insieme verso la fermata dell’autobus.
Queste mi sembrano le cose vere legate a quel posto, quelle di
adesso mi paiono solo un seguito.
Non credo di sminuire quello che faccio ora o di esaltare
quello che facevo prima, è proprio l’unione delle due cose, trovarmi adesso nei
luoghi di prima, a farmi, a volte, uno strano effetto. Un effetto da seguito.
Vista la mia passione per i seguiti, non è un brutto effetto.
Solo che, ogni volta che guardo un seguito, mi sembra che
sia un po’ venuto male, e che sia un po’ come le soap opera che, al contrario di
Manzoni, non si fermano in tempo. Non so cosa voglia dire questo, applicato
alla vita reale. Forse vuol dire solo di provare a migliorare il seguito, e
fare come quei rari casi in cui i seguiti sono meglio di quello che c’è prima,
o almeno uguali.
Photo by Ryoji Iwata on Unsplash
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