Il panico e il forno (e mia madre)

 


A volte io lascio il gas acceso. In alcuni casi restano accese anche le fiamme dei fornelli, levo la padella senza spegnere nulla. Ma quando lascio soltanto il gas acceso è molto peggio.

“Farai esplodere la casa” preannuncia A. guardandomi sconsolato. Io provo a giustificarmi. Lui mi dice che non ha senso giustificarsi, se poi continuo a farlo. È probabilmente vero.  

In questi momenti io penso a mia madre.

Per prima cosa immagino quello che potrebbe pensare leggendo queste righe.

Dico subito, per limitare la sua ansia, che questo mio problema con il gas è limitato a quando sono in montagna, dove la cucina è un po’ vecchia e le manopole mi ingannano. Le giro da una parte, convinta che sia quella giusta, e invece è quella sbagliata. C’è scritto, ovviamente, ma io non guardo bene e non lo noto.

Dopo poco A. mi fa notare con calma quello che ho fatto. “Ma non la senti la puzza di gas?! Come fai a non sentirla?!” Io non la sento.

Penso a mia madre perché “ricordati di chiudere il gas” è una delle sue frasi più frequenti. Credo che a volte mi abbia anche telefonato per dirmelo.

Questa frase frequente è affiancata da altre, che riporto per completezza: “Stai attenta in bicicletta” (la favorita in assoluto); “Vai piano in macchina” (al secondo posto, ma solo perché io uso pochissimo la macchina); “Oggi piove, non andare in bicicletta”; “Attenzione, oggi molto vento!”; “Stai attenta alla strada ghiacciata”; “Attenzione alle valanghe!”; “Oggi previsto nubifragio”.

Mia madre agisce come una sorta di stazione meteo personalizzata. Anche io, devo dire, sono ossessionata dal meteo. Non perché penso che verrò spazzata via da una valanga, ma perché mi angoscio al pensiero che sia prevista pioggia la mattina in cui voglio correre. E poi mi sento in colpa per aver sperato che non piovesse.

Mentre invece, sul gas, non ho preso da lei. Quindi mi interrogo su come io possa essere, in questo, così diversa da lei.

Ma, soprattutto, quando lascio aperto il gas io penso a mia madre e al forno.

Mia madre fa questa cosa tutte le sere prima di andare a dormire. Accade davvero, gliel’ho vista fare varie volte. Va in cucina. Apre il forno spento. Lo guarda. Tocca con la mano la parete di sotto e quella di sopra. Lo fa ripetutamente. Sopra, sotto, sopra, sotto. Cambia ritmo, piano e veloce. Lo fa sempre lo stesso numero di volte. Poi lo chiude e se ne va. Vuole controllare che sia spento.

Esiste anche una variante della sequenza del forno, ovvero la sequenza della porta. È molto simile. Dà un colpetto alla porta di casa, una tirata alla maniglia, un colpetto alla porta, una tirata alla maniglia. Porta, maniglia, due volte porta, due volte maniglia. Esiste anche una versione più breve, per quando rischia di fare tardi. Vuole controllare che la porta sia chiusa bene.

Ho passato interminabili secondi in piedi a guardarla, tenendo aperta la porta dell’ascensore. A volte ho distolto lo sguardo. Altre volte ho sottolineato il ritardo.

Altre volte, mentre aspettavo, ho iniziato a guardarmi i piedi. A osservare i miei piedi sopra le mattonelle. Ho cercato di stare in equilibrio tra le strisce delle mattonelle. Senza toccare mai le strisce nere ai bordi, perché i miei piedi non le potevano toccare.

Poi mia madre finiva la sequenza della porta ed entravamo in ascensore, con qualche risposta in più sul mio essere simile a lei.

 

Photo by Annie Spratt on Unsplash

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