Inizi e fini

 


Quando andavo al liceo, molte mattine, prima di alzarmi dal letto, rimanevo per qualche istante a contemplare la giornata di fronte a me.

Erano le sei e mezza (o prima se dovevo ancora finire di studiare) e avevo pochissimo tempo perché la mattina facevo parte di un ingranaggio delicato insieme a mia madre e a mia sorella, in cui ognuna di noi aveva un tempo e un luogo da rispettare per non intralciare le altre. Il mio ruolo consisteva nell’andare subito a fare la doccia, appena alzata. Chiedevo all’acqua di svegliarmi immediatamente e di scaldarmi se era inverno e i termosifoni non erano accesi a causa delle infinite e infruttuose discussioni con i condomini dei piani di mezzo che dicevano che casa loro era sempre calda, anche con i termosifoni spenti, e quindi non volevano accenderli la mattina.

In quegli istanti prima di alzarmi dal letto pensavo al perché lo facessi.

Non ci riflettevo troppo, perché ho sempre odiato quel momento, l’ho sempre trovato molto fastidioso: si resta sdraiati ma svegli, consapevoli che si dovrà lasciare il letto molto presto. Ci si può anche rigirare dall’altra parte e riaddormentarsi, ma io non ci riesco, il mio panico aumenta ancora di più, penso solo che sto perdendo tempo e mi agito.

Però restavo qualche istante a domandarmi perché mi alzassi. Che motivo avevo? Cosa mi aspettava? Una mattina ero arrivata a una risposta molto drastica: “Nulla”.

Subito dopo averlo pensato, questo nulla mi aveva fatto paura. Mi aveva spaventato realizzare che non mi sarei voluta alzare, e allora ero subito scattata in piedi e mi ero buttata sotto la doccia. Avevo fatto colazione e mi ero sbrigata, credo, ma la verità è che non me lo ricordo. Ricordo solo che la consapevolezza di quel nulla mi aveva fatto paura.

Poi però avevo preso l’autobus, ero andata a scuola, avevo ascoltato qualche lezione e ne avevo ignorata qualche altra. Magari c’era stato qualcosa che mi era piaciuto. Avevo parlato con qualcuno. Avevo letto sull’autobus del ritorno. Mi ero scordata del nulla. Spesso arrivavano molte cose a togliermi dal mio nulla, solo che, se non stavo attenta, quando abbassavo la guardia lui ritornava.

In questi giorni mi è tornato in mente quel nulla. Non so bene perché. Forse è collegato a settembre e agli inizi. A me piacciono, ma un po’ mi impensieriscono pure. Sanno anche un po’ di nulla.

Forse è perché tutti gli inizi mi sembrano anche le fini di qualcos’altro.

Tutti gli inizi sono la fine di un’altra cosa, a meno che il momento prima dell’inizio non si stesse fluttuando nel vuoto.

Magari esiste qualche raro inizio che non implica la fine di qualcos’altro, ma non me ne vengono in mente molti.

E allora io non riesco a concentrarmi sugli inizi e mi concentro sulle fini. Mi viene la malinconia. Qualunque cosa che porti alla malinconia è radicata dentro di me.

Quindi provo a considerare gli inizi come inizi, non come fini. Li ammiro, li giro e rigiro nella testa, ne ascolto il suono.

Ci sono molti suoni nuovi a settembre.

Lo scrocchiare delle foglie sotto ai piedi, il fischio del vento, la pioggia che batte sul tetto, il freno della bicicletta, la suola delle scarpe che striscia sul marciapiede bagnato.

A me settembre piace perché è malinconico, è tutto pieno di inizi e fini, e a volte mi confondo e non so più quale è uno e quale è l’altro.

Quest’anno mi trovo anche in una casa nuova e mi piace, solo che mi guardo intorno e penso al fatto che è vuota e va riempita. E poi immagino quando sarà riempita e avrò nostalgia di quando era vuota. E poi guardo le strade nuove, che sto conoscendo, lì intorno, e penso con rammarico a quando le conoscerò già tutte.

Allora mi concentro a fare cose dentro casa: tutto quello che si può fare e dipingere e appendere e sistemare, ma poi mi sembra troppo e mi blocco. Mi sembra troppo difficile azzeccare tutte le combinazioni. Dove è meglio mettere quel quadro? Di che colore è meglio dipingere quella porta? In che ordine posso sistemare i libri? (Quest’ultimo è un tema troppo grande e avrà bisogno di lunghe ore.)

Quando mi sveglio dalle mie riflessioni scopro che A. ha sistemato quello che io pensavo di voler sistemare e io mi arrabbio e gli dico che è sistemato nel modo sbagliato.

 

 Photo by Gabriela Tamara Cycman on Unsplash


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