Come leggere i libri
Non ho mai letto Anna Karenina perché un pomeriggio d’estate
di quando avevo 14/15 anni una mia amica mi rivelò il finale. Aveva esordito
dicendo: “Tanto tutti sanno che alla fine lei…” (qui mi interrompo nel caso ci
fosse qualche fortunato lettore che ancora lo ignora).
Eravamo nella mia casa al Circeo, nella stanza in cui in quegli
anni dormivamo mia sorella ed io. Precedentemente era stata la camera dei miei
genitori, con annesso lettino di mia sorella, perché nella casa al mare le
stanze erano usate da diverse persone a seconda dei periodi. Mentre i miei
genitori dormivano lì con mia sorella io dividevo con le mie cugine una
strettissima stanzetta con un vecchio letto a castello arancione di ferro e una
brandina. Mia cugina grande dormiva di sopra e noi due più piccole ci scambiavamo
ogni notte il letto di sotto (salvo poi scoprire che io preferivo il letto di
sotto e mia cugina la brandina, e rimanere fisse così).
Quindi eravamo in quella stanza, sedute sul letto, e la mia
amica aveva pensato di dirmi quella cosa lì. Subito dopo aveva aggiunto che,
appena finito di leggere Anna Karenina, di cui mi aveva appena rivelato
il conosciutissimo finale, si era messa a piangere. Questo perché lei piangeva sempre
dopo aver finito un libro.
Se la rivelazione del finale di Anna Karenina era
stata brutta, quest’altra rivelazione era stata a dir poco terribile. Il pianto
era un mio terreno. Il pianto era una mia attività abituale e, in quegli anni, addirittura
quotidiana.
E io non avevo mai pianto per un libro.
Lei invece piangeva sempre, appena ne finiva uno. Non usciva
con gli amici, non vedeva nessuno, restava a casa e piangeva. Pensava al libro
che aveva finito. Si prendeva del tempo prima di cominciarne uno nuovo.
A me era sembrata una cosa profonda e meravigliosa, che, invece,
io non facevo mai.
Io, appena chiudevo un libro, ne aprivo subito un altro. Molte
volte, addirittura, ne leggevo vari tutti insieme, magari perché ne avevo
appena comprato uno nuovo e non riuscivo a non iniziarlo, mi dicevo: “Leggo
solo l’inizio”, ma poi non riuscivo a smettere.
Oppure nel libro che stavo leggendo accadeva qualcosa di
brutto o di scomodo (come un malinteso. Io non riesco a sopportare alcun
malinteso nelle storie, mi fanno venire l’ansia. Molte storie si reggono sui
malintesi, molte storie mi fanno venire l’ansia.)
Quindi, se nel libro c’era qualcosa che non volevo vedere,
io ne iniziavo subito uno nuovo. Poi riprendevo quello vecchio. Intanto ne compravo
un altro e inserivo anche quello.
E invece la mia amica restava in camera sua a contemplare il
vuoto lasciato dal libro finito. Anche molti anni dopo altre persone mi hanno
raccontato comportamenti simili, parlando del loro leggere sempre un solo libro,
immergendosi dentro al suo universo, magari arrivando addirittura a leggere
sempre un solo autore, fino ad averlo attraversato a fondo.
E io non lo faccio mai, perché leggo in modo un po’
disordinato. E poi mi rendo conto di trovarmi a leggere pezzi meravigliosi, frasi
che sono scolpite nella storia della letteratura, momenti rivelatori, mentre sono
in fila al supermercato. In qualche raro caso chiudo il libro e gli riservo un
momento più tranquillo.
Ma la maggior parte delle volte, no. Eppure, qualcosa
rimane.
Solo che il mio modo di farlo rimanere è non cercare di farlo
rimanere.
È come se aspettassi che fosse il libro a frasi strada. Io non
gli facilito il lavoro, non gli do tanta importanza. Poi, però, a volte lui
arriva a stordirmi talmente tanto da doverlo mettere via.
Quest’anno, in un pomeriggio d’estate, mi sono trovata a
leggere la fine di un libro sul letto della camera dei miei genitori, che in
quel momento usavamo io e A. Prima di essere la stanza dei miei genitori era mia
e di mia sorella. E in quella stanza che aveva visto vari proprietari (come è il
destino di tutte le stanze), mi sono messa a piangere appena finito un libro.
Non tanto per averlo finito, in verità, ma per qualcosa che succedeva, ma mi è
sembrato stupendo lo stesso. È squillato il telefono e non ho risposto, sono
restata in silenzio a contemplare il momento. Da qualche parte una voce ha
esclamato: “Ci sei riuscita anche tu!”
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