Il panico e la flessibilità

 


Ammiro molto le persone flessibili. Mi paiono sicure e simpatiche. Mi sembrano solide ma anche mobili. Procedono tra le cose che cambiano senza perdersi mai del tutto.

Io non sono flessibile. Non sono elastica. Non mi riesco ad adattare alle cose che cambiano.

Mi farebbe tanto piacere esserlo, ma non ci riesco. Ci provo, ma divento solo più fissata nel dirmi che dovrei essere più flessibile.

Quasi ogni mattina faccio yoga. In giardino se sono in montagna, in camera se sono a casa. Mi aiuta a stare ferma, a respirare andando lenta. Ho preso il ritmo dello yoga prima di colazione e mi piace. Il problema di quando prendo un ritmo, qualunque tipo di ritmo, è che poi diventa fondamentalmente impossibile romperlo, come se si trattasse di un incantesimo che non può essere spezzato.

Non so bene che cosa succede, se si spezza. So solo che non va fatto. So solo che non riesco a farlo, qualcosa me lo impedisce.

Adesso che fa più caldo anche in montagna, spesso A e io andiamo a camminare la mattina. Anche la sera va bene, ma va abbandonata l’ora di pranzo, in cui io oscillo tra il rischiare di svenire e il rischiare di ustionarmi. E quindi non è possibile fare yoga la mattina. La prima volta in cui è accaduto, mi sono faticosamente abituata all’idea. Ho trovato nuovi momenti per fare yoga. A poco a poco ho testato gli altri momenti abbastanza a lungo da farli diventare abitudini fisse da poter seguire.

Non sono diventata più flessibile, ho solo ampliato il numero di schemi in cui mi fisso. Ho aggirato il problema.

Ma so benissimo che non sono flessibile.

Quando sono a Roma, a volte, invece di fare yoga, vado a correre la mattina. Quando vado a correre, io faccio sempre lo stesso giro. Potrei cambiare, ma non mi fido. Quello solito va bene, e mi consente di non pensare. Non devo scegliere alternative, non rischio di incontrare imprevisti (o, almeno, rischio molto meno). So che forse potrei scoprire nuovi percorsi inesplorati ma, per farlo, dovrei superare il rischio di fare un giro brutto. Quindi io faccio sempre lo stesso.

Non sono flessibile nel numero di vasche che faccio quando vado a nuotare (o lo sono molto poco). Non lo sono su cosa mangio a colazione (o lo sono appena, ma solo se sono in assenza di alternative). Non lo sono nei tempi che dedico alle cose.

A e io oggi siamo partiti per due giorni. Ho avuto varie cose da fare, e non ho scritto il blog. Ora è sera, abbiamo cenato e sto scrivendo. Io odio scrivere la sera. Odio fare qualunque cosa che comporti un minimo sforzo la sera. La sera io non capisco nulla. Uno dei peggiori ricordi di quando andavo al liceo era uscire dopo cena. Era proprio una forzatura. Era una fatica mostruosa. Era orribile. A volte mi accasciavo sul letto con la luce accesa, poi mi svegliavo, prendevo un caffè e mi trascinavo fuori, ripetendomi: “Tra qualche ora sarò a casa”.

Negli anni questa pratica si è molto ridotta, ma non del tutto. Ho deciso che, quando si potrà uscire di nuovo, io non uscirò mai dopo cena.

Quindi è sera e io sto scrivendo.

Prima A e io siamo arrivati a casa, stanchi e affamati. Io avevo detto che non c’era bisogno di portare legumi o cereali, ce ne erano tantissimi. Non ce ne era neanche uno. L’anno scorso ce ne erano tantissimi, solo che poi avevamo passato una settimana qui e li avevamo finiti tutti. Siamo corsi fuori di casa perché erano quasi le otto. Il panico si è incastrato, perché non voleva uscire. Era stanco. Aveva sbagliato.

Ma, soprattutto, perché sarebbe dovuto andare in un luogo odiato (il supermercato) e comprare confezioni di plastica.

Abbiamo comprato delle cose non troppo tremende, purtroppo nella tremenda plastica, ad eccezione dei cetriolini nel vetro e della cioccolata. Alla cassa c’era la fila da fare e le persone stavano troppo vicine. Però c’era una cassiera carina, con un po’ di matita turchese sugli occhi, che si era inventata un sistema per non avere la mascherina che le tirava sulle orecchie. Ci abbiamo chiacchierato e io ho trovato delle monete da darle per aiutarla con il resto. Sono uscita un po’ riappacificata con il supermercato.

Ora sono le dieci passate e ho anche freddo. Non riesco a pensare bene, perché è sera. Ho deciso che non riuscirò a finire di scrivere oggi. Ho pensato che domani sarà sabato e non più venerdì, mentre invece il blog lo scrivo sempre di venerdì. Sarà una cosa molto flessibile da fare.

Lo sto finendo adesso, a colazione. Una grande prova di flessibilità. A mi ha detto: “È strano vederti al computer a quest’ora. Lo dico come una cosa positiva, nel senso che non ci stai mai.” Io ho chiesto, preoccupata: “Vabbè, ma vale sempre che io non ci sto mai la mattina, no? Non è che se ci sto adesso allora non vale più non starci la mattina, no? Non è che se lo faccio una volta poi sarà per sempre, vero?”.

La flessibilità è ancora molto lontana.  

 

Photo by Michael Walter on Unsplash

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