Il panico per le cose nuove


Qualche settimana fa una mia amica mi ha chiesto: puoi parlare del panico per le cose nuove?

Il panico degli imprevisti e delle cose che cambiano.

Soprattutto degli imprevisti.

Ma anche delle cose nuove, alle quali non ci si riesce ad abituare.

Tanto so che sai di cosa parlo.

Ho annuito.

Io e il mio panico non siamo molto bravi con gli imprevisti. Non siamo neanche bravi con le cose nuove. Vorremmo esserlo, perché le cose nuove sembrano entusiasmanti, o meglio, sembrano cose alle quali ci si dovrebbe entusiasmare. Ma a me fanno paura. Le cose nuove sembrano sempre enormi, come gli imprevisti.

Anche quando sono piccoli, gli imprevisti sembrano enormi. E, quando sono piccoli, non posso neanche dare la colpa al fatto che ci sia un imprevisto grande, per sentirmi così sperduta. È proprio il fatto che siano imprevisti a renderli enormi. È come se smuovessero i contorni delle cose. Spesso i contorni sono solo le liste di cose da fare che io scrivo. E se arriva un imprevisto tutte quelle cose non le posso più fare, le devo cancellare con la penna e spostarle ad un altro giorno, e allora il mio panico mi chiede: chi sono? Dove vado? Cosa faccio? Come se io fossi solo quelle cose e se poi non le facessi più non fossi più me, perdessi i contorni e i confini e diventassi lo spazio circostante, mi amalgamassi con lui.

Anche le cose nuove, come gli imprevisti, danno problemi ai contorni. Anche le cose nuove, come gli imprevisti, non si possono prevedere. Io non so come relazionarmi perché non capisco ancora a cosa dovrei relazionarmi.

Alla fine del quarto ginnasio, mia madre, dopo intense, continue ed estenuanti richieste da parte mia, ha trovato una scuola di teatro in cui potessi andare, sia perché le faceva piacere, sia, credo, per disperazione. Io ne ho parlato per giorni. Facevo il conto alla rovescia sul diario dei giorni che mi separavano dal momento in cui sarei andata a vedere la scuola di teatro. Immaginavo come sarebbe stata la scuola. Immaginavo cosa avrei fatto. Immaginavo cose meravigliose che sarebbero accadute appena varcata la soglia della scuola. Subito, all'istante, come in un libro. Quando ero piccola, immaginavo che le cose sarebbero accadute soltanto come nei libri. Immaginavo una sorta di incrocio tra Pollyanna, Piccole Donne ed Harry Potter, con qualche sfumatura dei personaggi di Bianca Pitzorno e di Roald Dahl.

È arrivato il fatidico giorno. Arrivata alla scuola di teatro con mia madre, mi sono vergognata di entrare, mia madre è entrata dalla porta sbagliata e ci siamo ritrovate sul palco dove un ragazzo recitava, io mi sono vergognata ancora di più e sono scappata.

Ho deciso che quella scuola non mi piaceva, non ho parlato con mia madre per tutto il tragitto fino a casa, ho pianto per tre giorni e ho scritto pagine di diario tristissime e sconsolate, in cui tutto era andato in frantumi, e il tutto non so neanche cosa fosse, visto che non c’era poi un tutto da mandare in frantumi, ma solo fantasie.

Una settimana dopo sono tornata alla scuola di teatro, dove sono andata per i successivi quattro anni.

(Mentre scrivo, A ha fatto partire la sigla dei Looney Tunes su Youtube. Ignoro perché lo abbia fatto. Non riesco a capire quale possa essere il motivo. Solo la sigla, poi. Ho pensato che si potrebbe considerare un piccolo imprevisto. Perché io tento disperatamente di concentrarmi e ad un certo punto sento una musica nell'orecchio, all'improvviso. È fastidiosa. Il punto forse è proprio questo. Gli imprevisti sono fastidiosi e non dirselo li rende solo peggiori. Si sente fastidio e non si capisce perché.)

Anche le cose nuove sono fastidiose. Sono fastidiose perché ancora non le capisco. E, per il panico, capire è fondamentale.

Quando non riesce a capire, il panico si innervosisce. Una cosa che ho visto, però, è che se nelle cose nuove vado lenta va un po' meglio. Ci sono meno cose da capire tutte insieme. 

Un'altra cosa che credo di aver capito è che il punto non sono le cose nuove e non sono neanche le mie aspettative. A me le mie aspettative divertono, in realtà.

Il punto è quando il mio panico mi dice che se le cose non sono come le avevo pensate io allora sono da buttare. Sono tutte sbagliate. 

Anche adesso, in realtà, mi aspetto che le cose accadano come nei libri. Magari ho altri libri come riferimento (ma credo di avere sempre Piccole Donne). Resto ancora (spesso) delusa dalle cose nuove. Dal loro essere più complicate e meno entusiasmanti di quelle dei libri, meno dirompenti e più sotto tono. 

Allora torno a casa e lo leggo per davvero, un libro, così mi dimentico del mio non avere contorni. Me li tolgo proprio per un po', i contorni, e realizzo che forse sono sopravvalutati. 

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