Il panico e gli obblighi sociali

 

Qualche anno fa, nel pieno del panico più totale, c’è stato un momento in cui io e il mio telefono eravamo molto uniti.

È una cosa della quale mi vergogno, perché collego gli smartphone a più o meno tutti i problemi del mondo.

Però in quel momento il mio panico mi faceva stare attaccata al telefono. Mi faceva stare attaccata al telefono perché mi sentivo sola. Non è che con il telefono fossi meno sola. Ma avevo sostituito l’icona di Whatsapp con il contatto con le persone, perché voleva dire che qualcuno da qualche parte mi stava cercando. Questo chiaramente non valeva nel caso di messaggi che arrivavano da gruppi inutili o da mia madre che voleva semplicemente accertarsi che io fossi sempre viva.

Adesso il telefono non so bene a cosa si colleghi. Ovvero, non l’oggetto telefono, che serve per chiamare e mandare messaggi e può essere anche utile, ma tutto ciò che circonda l’oggetto telefono, quella sua aura di amore e odio che spesso mi fa venire voglia di nasconderlo in un cassetto e non vederlo mai più.

Una cosa a cui è collegato il telefono è il panico per gli obblighi sociali.

Il panico per gli obblighi sociali è quel panico che mi fa stare al telefono anche se non voglio, che mi fa dire “certo, sentiamoci quando vuoi” e poi mi fa imprecare per dover tenere il telefono con la suoneria, che mi fa inciampare mentre corro per rispondere al telefono come se fosse sempre la chiamata più importante della vita.

Il panico per gli obblighi sociali è una cosa sconosciuta ad A, che quando gliene parlo mi guarda perplesso.

A non chiama le persone. Al massimo risponde se loro lo chiamano o richiama se ha perso la chiamata, ma neanche sempre. E allora io gli continuo a ripetere “ti aveva chiamato X, forse lo devi richiamare”, ma poi lui non lo fa, io non so più come convincerlo e mi inizio a dispiacere per X che aveva chiamato e non ha avuto risposta. E poi mi dispiaccio per A che non riceverà mai più una chiamata di X.

Mi viene il panico per gli obblighi sociali al posto suo.

Poi però, X richiama. E A, nel frattempo, è riuscito a fare un sacco di cose. Addirittura, a volte, A chiama X, ma quando vuole lui.

Allora ho iniziato a fare un tentativo pure io. Il mio panico per gli obblighi sociali ha deciso di mettersi in discussione.  

Il panico per gli obblighi sociali ha una duplice natura: da una parte vorrebbe non sentire mai nessuno e comunicare al massimo con un piccione viaggiatore; dall'altra è assalito dalla paura che nessuno vorrà mai più parlare con lui e che quindi resterà solo per sempre.

Forse il panico a volte dovrebbe imparare le mezze misure.

O forse no. Forse queste mezze misure sono un po’ troppo sopravvalutate; non è che possono andare bene per tutto. Se una cosa ti fa male, farla a metà ti farà meno male, ma non risolverà il problema. Secondo me le mezze misure sono un consiglio comodo da dare e troppo generico.

Quindi il mio panico ha deciso di non adottarle.

Il mio panico ha studiato A e la sua assenza di panico per gli obblighi sociali e ha osservato una cosa: la maggior parte delle persone che A non sente e anche quelle alle quali non risponde, in realtà non vanno via. Per qualche motivo inspiegabile per il mio panico, loro rimangono. Quindi il panico ha pensato che anche le mie persone non sarebbero andate via e mi ha rassicurato. 

Ha quindi deciso che poteva smettere di inciampare per rispondere al telefono, smettere di dire “ci sono sempre” e smettere di parlare quando non vuole parlare, ma parlare solo quando vuole parlare, che pare una cosa ovvia e banale ma per il panico non lo è.

Non credo potrà usare i piccioni viaggiatori però. Non è molto pratico. E gli dispiacerebbe per i piccioni.

 

 


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