Diario del panico in quarantena 12 - Il silenzio dentro, il silenzio fuori?



Una cosa che io e il mio panico ascoltiamo dalla finestra di casa e soprattutto dal balcone di casa è il silenzio (quando la signora della terrazza del palazzo accanto non decide di parlare al telefono con parenti e amici e chiedere che cosa hanno cucinato oggi. Lei oggi ha cucinato “un secondo e una qualche verdura cotta di accompagnamento”).

Al mio panico non dispiace il silenzio. Nel silenzio si pensa meglio. Nel silenzio non ci sono troppi rumori che confondono il panico. Ci si rilassa. Ci si riposa.

Quindi dopo un po’ al mio panico il silenzio inizia a stare stretto, perché rilassarsi e riposarsi non sono due cose che gli riescono particolarmente bene. Quindi inizia a romperlo come può.

Una delle armi che ha, la più potente e quella in cui è più allenato, è l’arma del parlare. 

Io posso tendenzialmente parlare in qualunque circostanza, anche quando è proprio chiaro che sarebbe meglio non parlare.

A causa della casa piccola, il mio parlare in continuazione può generare dei problemi ad A. Alle volte, quando le parole sono rivolte a lui, capita che ad un certo punto smetta di ascoltare. Qualche volta mi avvisa: “Guarda, non ti sto più ascoltando da un po’.” E allora io mi arrabbio e gli dico: “Ma non potevi avvertirmi nell’esatto momento in cui hai smesso di ascoltarmi, così smettevo di parlare, invece di continuare a parlare a vuoto?” “Ma a te piace parlare, mi dispiaceva.”

Altre volte, semplicemente, scopro che ha smesso di ascoltare perché quando gli nomino cose delle quali gli ho già parlato, non sembra riconoscerle nemmeno lontanamente.

Quando però le parole non sono rivolte a lui, A non ha molte opzioni davanti a sé per evitarle. Per qualche ora al giorno la casa è invasa dalle mie parole mentre faccio lezione ai bambini. A non può chiaramente opporsi in alcun modo alla cosa (anche se mi ha fatto presente che se loro non sentono bene potrei avvicinarmi al pc invece che urlare). Quindi, non potendo farci nulla, si chiude nel bagno.

Usa il suo comodino, che è uno sgabello, come sgabello, e si appoggia su un mobile del bagno che usa come tavolo. In questo modo può chiudere la porta del bagno e la porta che separa bagno e cucina dal resto della casa: ben due porte, ovvero tutte le porte che ci sono in casa, oltre a quella 'di' casa. Ci ha talmente preso gusto che l’altro giorno, dopo che l’ho informato che avevo finito la lezione, mi ha detto che preferiva restare a studiare in bagno, perché “a quest’ora di sera è l’unico posto della casa in cui arriva la luce naturale”.  

Quando, tra una lezione e l’altra, decido di parlare al telefono, sono io che mi chiudo in bagno e in cucina.

E a volte, dopo lezioni, chiacchiere, parole per la casa su vari argomenti come: mi sono scordata di uscire in balcone- cosa mangiamo per pranzo – che brutta quella foto del tuo libro – sai quali sono le banche italiane più inquinanti – quale libro potrei leggere adesso - (tutte messe insieme, in un unico discorso senza soluzione di continuità) anche io e il mio panico sentiamo il bisogno di un po’ di silenzio.

Per ora, abbiamo iniziato un duro allenamento. Non so se sta andando molto bene. Temo che, stando in silenzio, poi ci sforziamo e recuperiamo parlando ancora di più.

Quello che, inoltre, ci chiediamo io e il mio panico, è come sarà il rapporto con il silenzio quando le persone inizieranno a uscire un po’ di più, a partire da oggi. E quando anche noi, forse, riusciremo ad avventurarci un minimo fuori di casa.

Ci sarà sempre silenzio? Ci sarà meno silenzio ma comunque di più rispetto a prima?

Forse io e il mio panico cerchiamo di pensare al silenzio per non pensare alle mille altre cose che ci vengono in mente rispetto all’uscire di casa. Sapremo ancora come si fa? Per ora, oggi io e A ci avventureremo per ben quindici minuti in bicicletta, per prendere dei pacchi arrivati a casa di sua nonna due mesi fa.

Commenti

Post più popolari