Diario del panico in quarantena 8 - Il panico e la tecnologia
Il mio panico e la tecnologia non sono molto amici. Credo sia
perché la tecnologia crea problemi al mio panico, perché lui non la capisce
bene. Quindi la evita più che può.
Solo che poi, con questa cosa di stare chiusi dentro casa,
va usata per forza.
Per prima cosa, ho dovuto scaricare un’app che si chiama Teamviewer, con la quale uno dei ragazzi a cui do ripetizioni mi fa entrare nello
schermo del suo pc. Solo che la mia connessione non funziona bene e vengo continuamente
buttata fuori dal suo pc e devo rientrare, mentre sono al telefono con lui e lo
prego di continuare a fare i compiti nel frattempo, mentre io cerco di rientrare. Ogni giorno
c’è una password diversa per entrare sul suo computer, io cerco di scrivermela
su un foglio all’inizio della lezione, ma puntualmente lo perdo e gliela devo
richiedere svariate volte.
Nelle pause che gli concedo durante la lezione faccio cose che
non farei mai, come stendere, sistemare la cucina o addirittura spazzare. Mi
sembrano cose bellissime perché non richiedono la presenza di uno schermo. Sono
quasi rigeneranti.
Poi ho dovuto imporre al mio panico di imparare a usare
google meet per un’altra lezione. Straordinariamente il mio panico è riuscito a
cavarsela.
Il mio panico ha anche imparato a fare video chiamate di
gruppo su zoom, mentre A mi pregava di mettermi davanti al muro per evitare di
riprendere l’intero salotto e ogni suo movimento. Ho trovato il modo perfetto
per sistemare il pc: metterlo su un tavolinetto basso in modo tale che le mie
gambe non siano inquadrate e io possa fare stretching nel frattempo.
Questa cosa di poter fare tante cose insieme, però, non è
funzionale al mio panico. Faccio stretching durante zoom, apro svariati
articoli sul pc mentre uso teamviewer e faccio ancora altro stretching mentre
uso g-meet. Appena c’è un problema di connessione alla lezione mi alzo e faccio
un tè o un caffè o metto su il pranzo. Tra una chiamata e l’altra salto per la
casa (i cinque minuti di movimento che A propone di fare a ogni ora, ma a me l’unico
movimento che riesca davvero bene sono i salti).
In questo modo, alla fine
della giornata, quando mi chiedo: “Cosa ho fatto oggi?” mi sembra che la mia giornata sia stata una serie di frammenti mischiati ad altri frammenti in cui di tanto in
tanto si trova quasi un senso completo. Ma per lo più restano solo i frammenti.
Ogni mattina mi alzo e mi dico: “Oggi faccio una cosa per
volta”.
Magari per la fine
della quarantena l’ho imparato.
Commenti
Posta un commento