Diario del panico in quarantena 11 - Le cose che non voglio fare più (o almeno per tanto tempo)



Ci sono tante cose meravigliose dello stare sempre a casa, tipo vestirsi sempre con la tuta e i leggins e le stesse magliette e non pretendere neanche lontanamente che i trucchi servano a qualcosa.

Poi però ci sono tante cose che invece un po’ mi hanno iniziato a stufare. Anzi, che proprio non vorrò fare più (o, almeno, per un bel po’).

Una è in effetti mettere sempre la tuta. Perché sì, è molto comoda. Molto. E alcune tute che ho sono anche quasi carine. 

Però per il mio compleanno mi avevano regalato due paia di jeans, una maglietta un po’ più elegante del solito e un vestito bellissimo e improbabile lungo fino ai piedi e pieno di fiori, che sembra direttamente uscito da Piccole Donne, e sarebbe carino indossarli per più di una mezz’ora ogni dieci giorni, quando mi avventuro fuori di casa per andare a ritirare le mele a casa di mia madre, che le ordina anche per me e A. (Ne ordiniamo sempre tante, ma poi finiscono subito. Ieri mia madre mi ha chiesto: “Ma esattamente cosa ci fate con le mele?”).

Una cosa che non vorrei fare per un po’, quindi, è prendere dall’armadio solo le tute, che stanno nel reparto più lontano e più scomodo. Sono nel posto più scomodo perché in genere non le metto tanto spesso.

Un’altra cosa che vorrei non fare più è trovare i mille incastri possibili dentro la casa per non dar fastidio ad A mentre parlo per ore al telefono (alla fine finisco quasi sempre per chiudermi in cucina) oppure ripetermi continuamente che io sono capace di essere perfettamente concentrata e presente a me stessa anche con i rumori, pure se questo vuol dire sentire in sottofondo una lezione di biologia di A intervallata dai suoni dei messaggi che arrivano su whatsapp. Il mio panico in questi casi fa il furbo e mi dice: “Non capisco perché non riesci a concentrarti” e quindi io poi lo ascolto e non capisco neanche io.

Un’altra cosa che non vorrei fare più è avere questo costante contatto con il mio panico. Voglio dire, il panico c’è anche quando sono fuori casa, ma secondo me adesso che sono dentro casa lo ascolto di più. In genere, quando esco fuori, i rumori un po’ lo coprono. Voglio dire, è molto utile starci sempre a contatto, fa imparare tante cose, ma è anche un po’ faticoso.

La cosa che però batte tutte le altre, e che proprio non voglio più fare per tanto tempo, sono gli squat. 

Per chi non sa cosa sono, gli squat sono quegli orrendi esercizi in cui si va su e giù a gambe piegate. Non so quante decine e decine  e decine di squat io e A abbiamo fatto dall’inizio della quarantena. Ho perso il conto. So solo che ogni volta che li faccio di nuovo anche le mie gambe chiedono se per favore si può cambiare esercizio.

In realtà, poter fare movimenti all’aperto come correre e camminare e andare in bici è l’unica cosa che davvero mi manca e che il mio panico vorrebbe fare.

Il mio panico si può adeguare agli incastri dentro casa. Si può anche adeguare alle tute, perché comunque eliminano (o, almeno, diminuiscono notevolmente) il mio panico delle scelte dei vestiti.

Il mio panico mi  ha anche convinto a mettermi il vestito con i fiori per andare a pranzo in balcone i primi giorni della quarantena. Potrei farlo di nuovo.

Il mio panico non è neanche troppo antipatico da avere sempre accanto.

Alla fine, tutte le altre cose che non voglio fare più posso continuare a farle. Tranne gli squat.

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