Il panico e l'ipocondria





Il mio panico è di tanti tipi.

Eccone alcuni: il panico di prendere decisioni, il panico del non avere tempo, la claustrofobia, il panico di vedere le persone, il panico di non andare bene, il panico della timidezza, il panico del non sapere salutare, il panico di non riuscire a litigare e il panico di litigare, il panico per il cibo, il panico per il pianeta.  

Però il panico per l’ammalarsi non ce l’ho mai avuto. L’ipocondria non è mai entrata a far parte dei miei panici. C’è stata una breve finestra alle medie, in cui pensavo che sarei diventata cieca da un momento all’altro, e trascinavo mia madre continuamente dall’oculista. Ma a parte questa piccola parentesi, l’ipocondria non è mai entrata tra la schiera dei miei panici.

Quindi sono subito corsa ai rimedi.

Ho pensato bene di andarmela a cercare.

E infatti A è ipocondriaco.

Cosa che ho sempre saputo e notato.  Ma che in genere restava (quasi) sempre sotto controllo e si traduceva nello spingermi dal medico appena accusavo una punta di leggero mal di gola (ora ho imparato, e cerco di tenermelo per me) e andare dal suo per fare esami che potessero scongiurare qualcosa di grave (qualunque cosa, ma preferibilmente problemi ai polmoni o al cuore).

Di recente questa faccenda dell’ipocondria è un tantino esplosa.

Sono accadute due cose che credo abbiano un po’ contribuito a farla aumentare.

Una è credo nota a tutti quindi potrei anche non ripetere che ha a che fare con lo stare chiusi dentro casa per cercare di non favorire il contagio di un virus che in questi giorni non si sente mai nominare.

Non è un momento facile per gli ipocondriaci.

È un bel momento invece per il mio panico della socialità, quello che pensa: “Devi vedere le persone che sennò  ti isoli, devi vedere le persone che ti isoli”, ma che poi vuole stare a casa a leggere. Per lui questo è un gran momento. Un momento di rivincita.

La seconda cosa che non ha proprio aiutato l’ipocondria di A e che anzi ha segnato l’inizio della sua impennata è stata la decisione di sposarci.

Cose che in realtà, così, senza approfondire, non sembrano avere molto a che fare una con l’altra.

Il matrimonio sembra combaciare meglio con le mail di mia madre su possibili vestiti che trova mentre sta a casa a fare il poco telelavoro che ha da fare. Ma questo necessiterà di un post a parte perché sono certa che mia madre riserverà molte sorprese sull’argomento e sul suo modo di gestirlo.

Il matrimonio va d’accodo con l’ipocondria perché chiaramente un ipocondriaco pensa che se qualcosa può andare bene di sicuro qualcosa di molto, molto grave (una malattia) accadrà per controbilanciare una cosa bella. Questo perché l’universo non ha niente di meglio da fare che stare a pensare a noi perennemente e al nostro matrimonio in un mondo in cui chissà quanti ce ne sono ogni giorno.

Ho provato ad esprimere questo punto ad A ma non ho avuto molto successo. Ho provato anche a fare altri discorsi ma sempre con poco successo.

Potrebbe essere  che l’avere un perenne tono spazientito che voleva solo dire: “Stai bene, piantala” non abbia proprio aiutato.

Per vari giorni di fila, mentre ero a ripetizione dai ragazzini e chiedevo ad A come stesse, la sua risposta era: “Sto andando dal medico”. Ed era sempre per un motivo diverso.

La sua ipocondria è proprio andata nel pallone. Gli ha detto che chiaramente sarebbe andato tutto male da qui a giugno (la data del matrimonio).

Diciamo che il trovarsi chiusi in casa in un paese bloccato credo che non abbia aiutato molto.

Ma il mio panico, invece, se la cava benissimo. Tranne quando vuole battere la testa al muro perché si sente stretto in casa, oppure quando ha troppo tempo e non ha ragazzini ai quali dare ripetizioni e quindi pensa di dover fare mille cose e non conclude nulla, per il resto sta benone.

Perché ha un altro panico al quale pensare. Un altro panico di cui occuparsi. E questo lo fa dimenticare un po’ di sé. E al panico fa bene, di tanto in tanto, dimenticarsi di sé.


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