L'arte di cadere


Sabato pomeriggio ero al telefono con una mia amica e lei mi ha detto: “Sono un po’ scontenta di come è andata questa settimana perché ho fatto varie cose che so che è meglio non fare e che ho imparato a non fare, tipo andare a letto tardi la sera e alzarmi tardi la mattina e vedere troppe puntate di un telefilm che neanche mi piace.” 

Io le ho detto: “Sì ma non è che perché hai rifatto questa cosa una volta che poi la continuerai a fare. Cioè, se un' abitudine l’hai cambiata non è che se ti distrai un attimo annulli tutto. “

Solo che dire le cose e basta è sempre troppo facile. Quindi per mettere in pratica subito le mie parole e vedere se funzionavano davvero, perché non è che potevo solo dirle senza sperimentarle io stessa, la mattina dopo ho litigato con A. Argomento: il nulla (o quasi).  

E soprattutto, sull’onda del litigio, mi sono fatta prendere dal panico più profondo. Ed entrambe queste due cose (il litigio e il panico) non accadevano da tanto tempo, con sorpresa di entrambi (il litigio) e con l’incredulità più assoluta di entrambi (il panico). Erano due cose che non facevo più e che ero contenta di non fare più. E scoprire che le potevo fare ancora (e, ovviamente, con il minimo sforzo) non è stato esattamente piacevole.

Da un po’ avevo iniziato a ripetermi: ho imparato a far andare via il panico. Il panico non c’è più. Io non ho niente da dirgli al panico, pure se viene trova la porta chiusa.

Ed è stata proprio questa porta a fregarmi, credo. Perché il panico si è sentito un po’ tagliato fuori. Lo era proprio, tagliato fuori, aveva ragione a sentirsi così. Ogni volta che bussava alla porta io sì, provavo ad ascoltarlo, ma sempre con poca attenzione. E a volte non lo ascoltavo proprio, facevo rumore per evitare di sentirlo. E credo che lui si sia vendicato. 

Quando è ritornato, in tutto il suo smagliante splendore, in tutto il suo luccicante incantesimo, con tutto il suo suono ammaliante, mi ha ricordato che c’era rimasto un po’ male per essere stato così dimenticato.

Io non ho saputo che rispondergli. L’ho guardato arrivare. L’ho guardato passare. Mi sono ricordata di quanto è comodo il panico quando ci si sta dentro e di quanto è scomodo quando se ne esce fuori.

E ho decretato: devo ricominciare tutto da capo.

Mi sono ricordata di quello che avevo detto alla mia amica, che se sbagli una volta non sbagli sempre, che se una volta fai una cosa che pensavi non avresti fatto più, non è che quella poi ritorna. E quindi, in totale e completa armonia con ciò, la sera ho fatto arrivare di nuovo il panico. Così, tanto per evitare di impegnarmi a risalire, perché quando si scende la discesa è inarrestabile, mentre la salita sembra solo fatica senza meta. Al panico non è parso vero. Giorni e giorni senza potersi far sentire e adesso tutta questa attenzione. Il panico è stato felice. Io non proprio.

Ho ciondolato per casa, ho cercato rifugio nel divano, ho parlato da sola con il panico dopo che A era uscito perché il mio panico non gli sta molto simpatico. Ho detto al panico che mi ero illusa di essere una che non rovina le cose ma che le aggiusta. E invece ero una che le rovina del tutto e basta.

Ho chiaramente dei problemi a vedere i grigi delle cose.

Quando A è tornato, mi ha fatto vedere un foglio in cui avevamo scritto, tra i propositi del 2020: sorridere al panico. Ho fatto una specie di smorfia storta. Poi, un po’ per senso del dovere, ho chiesto al panico: “Panico, come stai? Va tutto bene? C’è qualcosa di cui vuoi parlarmi per caso?” Ho deciso di farlo di nuovo tutti i giorni.

Magari così poi lui non ha tanta voglia di bussare, perché la porta è socchiusa.

Stamattina mi sono trascinata al bar sotto casa e mi sono mi sono messa a scrivere il blog. Che non ho scritto per una settimana. Cosa che non era mai successa. L'avevo sempre scritto, senza fare interruzioni, senza saltare neanche una settimana.

Però, mentre al bar scrivevo orecchiando i discorsi del barista con i clienti per cercare di distrarmi il più possibile e di impegnarmi il meno possibile, ho visto che riuscivo comunque a scrivere. E che non è vero che se non faccio una volta una cosa, poi non mi piace più.

E ho anche dovuto ammettere, mentre mi prendeva un po' d'ansia perché stavo spostando un impegno preso con una mia amica e avevo paura che lei non mi volesse vedere mai più, che non è vero che se il panico non viene più per un po' vuol dire che è andato via per sempre.

Il panico c'è sempre, in qualche modo. È sempre lì, che mi ricorda cosa non voglio ascoltare quando faccio troppo rumore.

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